Maghreb – La strategia dei salafiti per infiltrarsi nelle istituzioni

di Enrico Casale
salafiti

Tollerati, osteggiati, combattuti: i salafiti, nel Maghreb, cercano non una identità politica (che sentono perfettamente definita), ma la strada migliore per potere veicolare le loro idee sul concetto di Stato e quindi preparare la strada ad una presa del potere non necessariamente a dispetto della democrazia. Percorsi diversi, a seconda dei Paesi, ma dando la netta sensazione che i salafiti credono fermamente di potere diventare protagonisti, anche se le loro idee e, soprattutto, i loro gesti cozzano con una diffidenza generalizzata.

Un caso emblematico è l’Algeria, saldamente laica, ma che, per il gioco delle convenienze politiche, non intende inimicarsi quella parte della società – ad oggi certamente residuale – che vede nella corrente salafita il necessario correttivo al presunto dilagante lassismo. Per questo, ad oggi, non ci sono state prese di posizioni ufficiali per le sulfuree dichiarazioni del salafita Abdelfetah Hamadache, star dei canali tv islamisti, giunto persino ad auspicare il riconoscimento dell’Isis e, quindi, il via libera all’apertura di un’ambasciata del califfato ad Algeri. Al di là degli aspetti folkloristici delle sue ‘sparate’, Hamadache cerca di dare ai salafiti la necessaria visibilità per consentire loro di proporsi sulla scena politica algerina. In tutto fa gioco per l’integralismo islamico, in cui è importante proporre un modello magari approfittando della colpevole distrazione di Governo, magistratura e polizia.

Ben diverso è quanto sta accadendo in Marocco dove il movimento salafita è molto presente e non disdegna sortite ufficiali, ma non creando una forza politica ufficiale. La strada percorsa è quella certo più lunga della penetrazione del tessuto dei partiti esistenti, con la creazione di teste di ponte che, dal di dentro, possano veicolare le idee del salafismo. Un progetto di lungo respiro, qui e là punteggiato da iniziative pubbliche, come quella recente per chiedere, con la liberazione degli ultimi responsabili ancora in galera, la dolorosa pagina degli attentati del 2003. Richiesta che sembra essere caduta nel nulla, dopo che negli anni scorsi il dialogo avviato aveva portato a qualche risultato concreto (come la scarcerazione di alcuni presunti ideologi della corrente).

In Tunisia invece c’è un partito salafita, Hizb Ut-Tahrir, che, dopo avere avuto l’autorizzazione a fare politica (dal Ministero dell’Interno), va avanti a colpi di marce, manifestazioni e richieste irricevibili (l’immediata adozione della sharia). Ma, anche se condannato dai numeri raccolti nelle consultazioni elettorali, Hizb Ut-Tahrir continua la sua campagna, proponendosi come il guardiano dell’ortodossia islamica in un Paese in cui la religione è importantissima, ma non al punto da cancellare 50 anni di laicità formale. (22/06/2015 Fonte: Ansamed)

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