Libia: rifugiato sudanese respinto vince la causa ma non può ancora entrare in Italia

di claudia

Un giudice italiano ha ordinato l’immediato ingresso in Italia di un rifugiato sudanese, vittima del respingimento della nave italiana Asso Ventinove nel 2018, ma l’ambasciata di Tripoli non risponde. La denuncia arriva dall’Ong Mediterranea Saving Humans che da tempo segue e aiuta il migrante tramite il suo progetto JLProject.

Lo scorso 10 giugno l’uomo, che l’Ong chiama con il nome di fantasia Harry, ha vinto una causa intentata contro parte del Governo italiano, ma da allora nulla si è ancora mosso. Il giudice ha accolto il ricorso del team legale di Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e dichiarato il diritto di Harry “di presentare domanda di protezione internazionale in Italia e ordina alle amministrazioni competenti di emanare tutti gli atti ritenuti necessari a consentire il suo immediato ingresso nel territorio dello Stato italiano”, dice la sentenza

“Harry è in Libia da troppi anni” racconta il JLProject “ha visto morire amiche e amici, in mare, nei lager libici e anche a casa sua in Sudan. Ha sofferto la fame, la sete, non ce la fa più. È stato illegalmente deportato in Libia da una nave italiana, la Asso Ventinove, su ordine del Governo italiano. Un gigantesco (276 tra uomini, donne e bambini) respingimento, avvenuto in segreto, per nascondere l’illecito agli occhi del mondo. Noi del JLProject abbiamo scoperto il caso nel 2019, abbiamo trovato le prove della sua illegalità, abbiamo pianto i morti che si sono susseguiti negli anni, ci siamo ancora più legati ai sopravvissuti e abbiamo cercato di aiutarli legalmente”. Dopo il verdetto Harry “potrebbe festeggiare la straordinaria vittoria legale, tanto agognata, contro la terribile ingiustizia del respingimento illegale che ha subito cinque anni fa. Ma sta invece soffrendo per una nuova atroce ingiustizia: l’Ambasciata italiana a Tripoli non risponde alle richieste dei suoi legali, ignorando, così, la sentenza di un giudice italiano”, continua il JLProject in una nota. Le avvocate di Harry hanno infatti fatto sapere che l’ambasciata italiana a Tripoli, retta dall’ambasciatore Gianluca Alberini, non ha risposto alle due diverse Pec inviate.

La sentenza è esecutiva e Harry avrebbe il diritto di prendere un aereo di linea da Tripoli per Roma, ma non ha il passaporto, condizione comune alla maggioranza dei rifugiati  perché le guardie dei campi libici spesso rubano soldi e documenti ai detenuti. Mediterranea racconta che l’uomo ha solo il documento Unhcr, che ne attesta lo status di rifugiato, ma che che non rappresenta un titolo di viaggio. “L’ambasciata italiana a Tripoli ha perso la causa e per effetto della sentenza deve emettere immediatamente un documento sostitutivo che consenta ad Harry di poter salire sull’aereo. Eppure non lo ha ancora fatto”, denuncia l’Ong.

“Temiamo che l’ambasciata, in modo platealmente scorretto, stia cercando di perdere tempo”, continua il JLProject “tante, troppe cose potrebbero capitare ad Harry in Libia: potrebbe essere ucciso, morire di fame. Forse l’Ambasciata spera in una futura causa d’appello che ribalti il primo grado, non sappiamo. Quel che è certo è che Harry oggi ha il diritto di prendere subito quell’aereo e lasciare per sempre l’inferno della Libia”.

Le avvocate di Asgi ricordano inoltre che “le politiche di esternalizzazione svuotano il diritto d’asilo respingendo e bloccando illegittimamente le persone in Libia e in altri paesi non sicuri. Questa decisione finalmente riporta al centro il diritto a cercare protezione attraverso l’ingresso sul territorio italiano. Le autorità del Paese di bandiera della nave e le autorità che coordinano le operazioni hanno il preciso compito di pretendere il rispetto del principio di non refoulement e di agire in questo senso”.

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