L’eroica resistenza degli scienziati congolesi

di claudia
scienziati rd congo

Tra le colline del Sud Kivu c’è un glorioso centro di ricerca che prosegue le sue attività nonostante i conflitti e la povertà di mezzi. Il tempo sembra essersi fermato al Centre de Recherche en Sciences Naturelles (Crsn) di Lwiro, un’istituzione risalente all’epoca coloniale sopravvissuta miracolosamente alle guerre e ai disordini che da decenni flagellano le regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo. Qui centinaia di studiosi e scienziati portano avanti, tra mille difficoltà, le loro preziose ricerche sulla foresta e sul territorio

di Marc Jourdier e Guerchom Ndebo / Afp

«Quel giorno eravamo quasi in lutto», racconta Luc Bagalwa, geofisico congolese, ricordando l’eruzione del vulcano Nyiragongo. Mentre la lava distruggeva parte della città di Goma e provocava l’evacuazione di centinaia di migliaia di persone, gli strumenti di registrazione dell’osservatorio di Bagalwa – situato a circa 200 chilometri a sud del vulcano – non avevano la carta per registrare gli straordinari eventi sismici. «Eravamo di fronte a un fenomeno eccezionale, ma eravamo impossibilitati a documentarlo e a studiarlo», spiega sconsolato. Come i colleghi del Centre de Recherche en Sciences Naturelles (Crsn) di Lwiro, Bagalwa deve affrontare una penosa mancanza di mezzi, e non nasconde la frustrazione di tentare di fare ricerca scientifica nella Repubblica Democratica del Congo.

Dove il tempo si è fermato

Arroccato sulle colline a ovest di Bukavu, capolouogo della provincia del Sud Kivu, il Crsn è il più importante ente di ricerca scientifica congolese: un’istituzione prestigiosa con una storia travagliata. Fondato dai coloni belgi nel 1947, è sopravvissuto alle più temibili sventure: i disordini della decolonizzazione, due sanguinose guerre e gli incessanti conflitti armati e saccheggi che da oltre vent’anni flagellano le regioni orientali di questo martoriato Paese.

Quando, nel 2008, un forte terremoto ha scosso le sue fondamenta, l’edificio che ospita laboratori e archivi ha retto la forza distruttrice del sisma, subendo solo alcune crepe sui muri. Pare quasi un miracolo che sia ancora lì. Piuttosto malconcio ma ancora in attività. Vista da fuori, la sede del Crsn potrebbe sembrare un campo di addestramento militare o la casa di qualche ordine religioso. L’area circostante è ricoperta di foresta e piantagioni di mais, manioca e fagioli. Dall’ingresso si possono vedere le acque placide del Lago Kivu, dal retro l’impenetrabile selva del Parco Nazionale di Kahuzi-Biega, un rifugio per i gorilla in via di estinzione e per i gruppi armati che seminano il terrore nella regione. Il direttore generale dell’istituto, Jean-Pierre Baluku Bajope, accoglie i visitatori in un’ampia sala dalle pareti ricoperte di pannelli verdi e li fa accomodare su sedie rivestite in pelle attorno a un tavolo gigantesco. «Pesa 12 tonnellate», dice ai suoi ospiti. A parte i segni della decadenza, il centro di ricerca sembra essere stato congelato nel tempo. La sensazione di tornare indietro di cinquant’anni sarebbe completa se non fosse per un grande ritratto dell’attuale presidente congolese appeso sopra il camino.

Risparmiato dalle violenze

Il Crsn impiega 790 dipendenti tra ricercatori, tecnici di laboratorio, archivisti, personale amministrativo e operai. Ogni mattina questa silenziosa schiera di dipendenti pubblici si inerpica per le alture di Bukavu, incurante del pericolo, per raggiungere la sede lavorativa. La zona non è affatto tranquilla. Le province orientali della Rd Congo sono infestate da gruppi armati che saccheggiano le ricchezze del territorio e aggrediscono la popolazione. Massacri, stupri e saccheggi hanno costretto centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case. «Anche nei momenti più duri della crisi, quando le violenze erano fuori controllo, il personale del Crsn non ha mai abbandonato il proprio posto e ha continuato a lavorare», spiega con orgoglio il direttore generale, secondo il quale i suoi ricercatori hanno inspiegabilmente goduto di una sorta di immunità. «Quando le truppe governative o le bande di miliziani passavano per il centro e si fermavano a volte a dormire nei laboratori, non toccavano nulla, non ci minacciavano con le armi… si limitavano a osservare incuriositi le attività di ricerca». Forse perché non comprendevano il valore economico custodito in questo tempio della scienza.

Manca la luce

Oggi lo Stato congolese paga i magri stipendi del personale del Crsn, appena sufficienti a sfamarsi, mentre i suoi dirigenti devono fare i salti mortali per raggranellare i fondi necessari a garantire i materiali ai ricercatori e la manutenzione ordinaria. Grazie agli aiuti finanziari dall’estero, donazioni di ricercatori stranieri che vengono a lavorare qui per un periodo, il centro riesce a racimolare un budget mensile di circa 5.000 dollari. Il direttore Baluku afferma che ne servirebbe quantomeno il doppio per far funzionare le cose a dovere. Ma ci si arrangia.

Nella grande biblioteca, tra pareti di libri e tavoli in mogano, aleggia un’atmosfera di studio, il silenzio che si trova in qualsiasi sala di lettura europea. Ma sugli scaffali mancano le pubblicazioni recenti. I volumi scientifici, dall’aria consunta, sono tutti datati. Non ci sono soldi per rinnovarli. Né luce per illuminarli. L’elettricità è interrotta da quattro giorni, evento frequente in un Paese dove peraltro l’80% della popolazione non gode della fortuna di avere interruttori e lampadine in casa. Impensabile un collegamento internet. I visitatori usano la torcia del telefonino per rischiarare l’erbario, dove migliaia di esemplari di piante locali sono accuratamente archiviati in sacchetti di cartone entro armadietti di metallo.

Pipistrelli a Chicago

Nel vicino laboratorio di etologia in cui vengono studiati i roditori, gli scienziati sono entusiasti delle loro recenti scoperte: una nuova specie di toporagno e un tipo di pipistrello finora sconosciuto. «Purtroppo l’unico esemplare di pipistrello che avevamo trovato è stato portato a Chicago, poiché il team che ha finanziato la ricerca proveniva dagli Stati Uniti», allarga le braccia il direttore scientifico, Robert Kizungu. «Abbiamo dovuto arrenderci all’evidenza di non avere i fondi necessari a condurre le ricerche. Peccato». L’amarezza lascia ben presto il posto all’orgoglio: «È fantastico quando scopri qualcosa che nessun altro ha mai trovato. Con la tua scoperta fornisci un contributo prezioso alla scienza. Ci sono persone che hanno vinto il Nobel per simili imprese».

Ma i ricercatori del Crsn studiano i segreti della foresta pluviale del bacino del fiume Congo, habitat con uno straordinario grado di biodiversità: vi si trovano alcune migliaia di specie animali, tra cui oltre 400 di mammiferi, 1.000 di uccelli e circa 700 di pesci. Anche nel mondo vegetale si ha una grande diversificazione, con oltre 10.000 specie di piante tropicali e 600 di alberi.

Una buona notizia

Nel laboratorio di fitochimica – dove mancano reagenti e provette – Melchi Kazadi Mizangi studia i processi delle piante ed è felice di illustrare il suo lavoro sui prodotti oleaginosi locali che potrebbero servire come fonte di cibo per il bestiame. Nel frattempo, i suoi colleghi studiano le zecche nella speranza di trovare rimedi alle malattie che i piccoli insetti trasmettono al bestiame nella regione. Sul grande tavolo giacciono le pubblicazioni più recenti dello staff del Centro di ricerca. Il direttore Baluku afferma che nel corso di un anno il Centro ha prodotto circa 70 articoli su riviste scientifiche internazionali. L’obiettivo di quest’anno è che ogni ricercatore venga pubblicato almeno una volta. Nel frattempo è giunta una buona notizia: il contingente Onu nell’est del Congo ha deciso di finanziare la ristrutturazione del laboratorio di geofisica. «L’encomiabile lavoro svolto in condizioni difficili dai ricercatori del Crsn è un patrimonio da valorizzare», ha spiegato il capo della Monusco nel Sud Kivu, Aliou Sene. «Il monitoraggio dei fenomeni geofisici in una regione che ospita vulcani attivi è fondamentale, così come la mappatura delle zone a rischio sismico e soggette a smottamenti ed erosioni. Per proteggere la popolazione dai disastri naturali, intraprendere azioni appropriate per mitigarne le conseguenze, è giusto non lasciare soli i valorosi scienziati congolesi». Presto Luc Bagalwa avrà tutto l’occorrente per il suo lavoro.

Questo articolo è uscito sul numero 2/2022 della Rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.

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