Le ONG si uniscono per contare di più

di Marco Trovato

Il mondo della cooperazione italiana – ricco di competenze e di valori ma molto frammentato – sta vivendo un cambiamento epocale. Le Ong piccole e medie, in difficoltà per la crisi delle donazioni e per la concorrenza dei colossi umanitari, cercano di reinventarsi. E anche le realtà più strutturate sentono il bisogno di unire le forze per rispondere con maggiore efficacia a problemi sempre più complessi. Accorpamenti, fusioni e annessioni stanno ridisegnano il panorama della solidarietà internazionale. In meglio?

di Marco Trovato

Il mondo italiano della cooperazione è in fibrillazione. Accorpamenti e fusioni ridisegnano il panorama della solidarietà internazionale. «Un panorama da sempre caratterizzato da grande ricchezza – di valori, competenze, radicamenti territoriali – ma anche da grande frammentazione», fa presente Alfredo Somoza, presidente di CoLomba, associazione che raggruppa una novantina di ong lombarde. «Una peculiarità che lo rende più fragile di fronte alla complessità dell’attuale momento storico».

Il mondo degli aiuti si è professionalizzato (talvolta burocratizzato) e richiede una macchina organizzativa efficiente e qualificata. La corsa ai finanziamenti e alle donazioni si fa sempre più dura. I bandi indetti da Ue e ministero degli Affari esteri premiano le realtà associative che, per dimensioni e organizzazione, sono in grado di realizzare progetti di maggiore impatto. Le ong piccole e medie faticano a imporsi. Un tempo la loro “leggerezza” e “flessibilità” erano valori apprezzati. Oggi diventano un problema di sostenibilità. Le spese di gestione sono pesanti, solidità e dimensioni (in termini di bilanci, personale, strutture) sono variabili non trascurabili, se si vuol continuare a essere protagonisti.

Il Consiglio Direttivo di dell’Associazione Lombarda delle ONG, detta CoLomba (ultimo a destra, il presidente Alfredo Somoza)

A livello mediatico si fatica ad emergere. Le organizzazioni più strutturate – specie quelle internazionali sbarcate in Italia negli ultimi quindici anni – hanno dipartimenti di decine di persone dedicati alla raccolta fondi. Save the Children, ActionAid International Italia Onlus, Oxfam Italia – per citare alcune tra le più famose – dispongono di budget notevoli per la pubblicità: irraggiungibili per le associazioni locali. Il loro approdo in Italia – con modalità di comunicazione proprie delle charities anglosassoni – ha scompaginato il panorama (un poco paludato e ingessato) italiano. E qualcuno non ce l’ha fatta a reggere il passo. «Dieci anni fa erano più di trecento le sigle attive in progetti finanziati dal Mae, il ministero degli Esteri, oggi ne restano circa cento», fa notare Alfredo Somoza. «La campagna contro le ong dedite al salvataggio quotidiano dei migranti in mare («i taxi per migranti»), orchestrata nel 2017 da Matteo Salvini e Luigi Di Maio (il secondo appena confermato alla Farnesina, da cui dipende la Cooperazione Italiana, ndr), ha lasciato il segno. Tutte le organizzazioni hanno registrato flessioni delle donazioni; per talune è stato un vero e proprio crollo di risorse».

Oggi incide soprattutto la pandemia. In periodi di crisi e incertezza economica come quello che stiamo vivendo, il fund raising diventa un campo di battaglia. Vince chi è più attrezzato, benché tutti ci provino. La gente rimane disorientata tra miriadi di sigle, nomi, campagne, eventi di beneficenza, richieste di aiuto. Nel bailamme, i piccoli spariscono. Non solo. Il mondo politico preferisce parlare con pochi e autorevoli interlocutori. Per contare nei palazzi del potere – dove si decidono indirizzi e finanziamenti della cooperazione – non basta il peso specifico delle storiche reti nazionali (Focsiv, Cocis, Cipsi), benché la prima delle tre, quella delle ong di ispirazione cristiana, abbia di recente rinnovato i suoi organi dirigenti nel tentativo di rilanciare il proprio ruolo. Le Ong oggi si sono dotate di nuovi organi rappresentativi che firmano congiuntamente i comunicati o gli appelli e che interloquiscono congiuntamente con Ministero degli Affari Esteri e l’Agenzia per la Cooperazione allo Sviluppo: l’AOI, l’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale, che raggruppa circa 140 sigle; il CINI, Coordinamento Italiano NGO Internazionali, che raggruppa 7 tra le maggiori ONG internazionali presenti in Italia; Link2007, un’associazione consortile di importanti e storiche organizzazioni non governative nata per dare maggiore forza all’aiuto umanitario, valorizzando le specificità di ognuna.

Operatori sanitari di Amref Health Africa

Le ong più grandi e strutturate – Avsi, Intersos, Medici Senza Frontiere, Emergency, Coopi, Medici con l’Africa Cuamm – soffrono meno delle altre, ma sentono comunque il bisogno di fare “gioco di squadra”: magari senza fondersi per conservare la propria identità, ma creando nuove reti di coordinamento che possano migliorare la capacità di intervento, specie in occasione delle emergenze . Tutte le organizzazioni oggi sanno di dover crescere e rafforzarsi, se vogliono incidere davvero. Se vogliono continuare a vivere. La parola d’ordine è unire le forze. Mettere in comune valori, conoscenze, esperienze. Il primo matrimonio è stato celebrato nel febbraio 2019 tra Gvc (storica associazione umanitaria di Bologna) e WeWorld (attiva in 8 Paesi a difesa di donne e bambini). Nel dicembre 2019 è toccato alla sezione italiana di Amref Health Africa – la più grande organizzazione di supporto alle popolazioni africane – fondersi con la storica Fratelli dell’Uomo (era nata nel 1969): tecnicamente è stata una fusione per incorporazione. Si tratta, per il mondo della cooperazione, di un segnale chiaro di discontinuità con il passato. «Abbiamo posto al centro del dibattito il tema cruciale delle fusioni e delle alleanze», dichiarava il direttore di Amref, Guglielmo Micucci, augurandosi di «aver aperto una strada, non solo per noi ma per l’intero settore».

I loghi di alcune delle maggiori Ong italiane

Era il primo passo di una strategia più ambiziosa. La conferma è giunta il 19 gennaio 2021, quando è stata comunicata la nascita della Fondazione Amref–Ccm, che ha suggellato l’unione con un altro storico attore della cooperazione sanitaria, il Comitato collaborazione medica (Ccm) fondato a Torino nel 1968 da un gruppo di medici impegnato a promuovere e assicurare il diritto alla salute a tutti, soprattutto alle fasce più vulnerabili in Africa e in Italia. «Ci siamo uniti contro la frammentazione del settore, uniti per un impatto maggiore nel rafforzare i sistemi sanitari fragili», spiega Micucci, ora alla guida della nuova Fondazione Amref–Ccm, la quale conta una sessantina di programmi di sviluppo in Africa e uno staff in Italia di circa 50 dipendenti in 5 sedi (Roma, Milano, Padova, Pisa e Torino). «Il covid ha accelerato e consolidato la nostra visione del futuro del mondo delle organizzazioni: soggetti più “solidi”, per sfide più complesse e cambiamenti a lungo termine. Le operazioni di fusione rappresentano per noi, e da tempo, la strada più convincente per lo sviluppo del nostro settore. È necessario rafforzarsi, arricchirsi di competenze e valori, per essere più preparati a sfide complesse e a risposte ambiziose».

Da Amref fanno intendere che le fusioni continueranno. Presto potrebbe essere comunicata l’unione con un’altra organizzazione. Gli altri non stanno a guardare: un paio di settimane fa è stata annunciata la creazione di una nuova realtà, No One Out (vanta più di cento operatori all’estero, in 10 Paesi e 18 progetti), confluenza di due ong bresciane: Scaip (Servizio collaborazione assistenza internazionale piamartino, attiva dal 1983) e Svi (Servizio volontario internazionale, dal 1969). Un percorso di avvicinamento, il loro, durato cinque anni. «Un grande cammino inizia sempre da un piccolo passo e, per questo, le due associazioni avevano già unito nel 2015 la sede operativa (insieme anche a Medicus Mundi Italia, rimasta tuttavia al momento indipendente), per unire risorse umane ed esperienza e lavorare insieme, sia in Italia che nei progetti di cooperazione internazionale in Africa e America Latina», commenta il presidente Ruggero Ducoli. «Sono certo che questo passo ci porterà a spostare ancora più in alto l’asticella delle nostre possibilità. Sono convinto che oggi più che mai l’unione di competenze diverse e complementari faccia la vera forza».

Un progetto in Mozambico di NO ONE OUT 

«Il contesto in cui ci muoviamo oggi è complesso e frammentato, il momento storico è estremamente difficile, crediamo non abbia senso cercare di affrontare le sfide da soli», aggiunge la direttrice Federica Nassini. «Abbiamo intrapreso questo percorso perché crediamo che unire le nostre migliori energie ci permetta di realizzare progetti di maggiore impatto, di portare cioè maggiori cambiamenti nelle comunità che incontriamo nei vari Paesi dove siamo presenti».

Il tempo sarà giudice e dirà se queste fusioni saranno matrimoni di convenienza con il fiato corto oppure legami solidi e virtuosi destinati a dare frutti. E chissà che questa spinta all’unione non contagerà altre importanti ong italiane, come Mani Tese, Cospe, Acra, Progettomondo-Mlal, Cesvi, Terre des Hommes, VIS… Vedremo. Parlando con cooperanti e dipendenti di alcune realtà filtrano anche timori e voci di contrarietà alle ipotesi di fusione. Non sono in discussione i valori comuni. Ma c’è chi teme di perdere la propria identità, l’autonomia gestionale, i rapporti di fiducia coi donatori costruiti faticosamente nel tempo.

Volontari e collaboratori della ong Celim in Mozambico

Il radicamento territoriale è importante, lo dimostrano esperienze di successo come IBO Italia di Ferrara, Aspem di Cantù, Tamat di Perugia, Movimento Lotta alla Fame nel Mondo di Lodi o LVIA di Cuneo, ma per contare di più, per incidere maggiormente, per superare i momenti di crisi, è sempre più sentito dagli operatori della cooperazione il bisogno di rafforzarsi, di allargarsi, di unirsi. C’è da aspettarsi nei prossimi mesi annunci di nuove annessioni, affiliazioni e alleanze strategiche. «È una prospettiva auspicabile», commenta Davide Raffa, direttore del Celim, ong di Milano che in passato ha provato senza successo a consorziarsi con altri. «Ci riproveremo. Non credo alla “fusioni a freddo”. Le sfide della cooperazione ci spingono a unirci, ma non basta rivedere i processi organizzativi, serve anzitutto una nuova visione, un atteggiamento culturale aperto e inclusivo. Dobbiamo fare tutti lo sforzo di uscire dalla logica dell’autoreferenzialità. Da soli non cambiamo il mondo. Possiamo e dobbiamo arricchirci delle nostre reciproche differenze per creare qualcosa di più bello e più utile»

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