Giannīs, il nuovo re dell’NBA

di claudia

Giannīs Antetokounmpo, stella greco-nigeriana della pallacanestro, è ormai da anni tra i più affermati giocatori dell’NBA. Per arrivare in cima ha dovuto superare non pochi ostacoli. Nato apolide, Giannīs ha lavorato come venditore ambulante ad Atene per aiutare la sua famiglia in difficoltà. Oggi è un esempio per una moltitudine di ragazzi nel mondo. Una storia di riscatto sociale che presto verrà raccontata anche da un film.

di Paolo Vezzoli

50 punti, 14 rimbalzi, 5 stoppate. L’analisi della pallacanestro si fonda da sempre su statistiche apparentemente fredde, che spesso nascondono storie umane di incredibile profondità. Tra queste la più attuale ed emozionante è sicuramente quella del fenomeno greco di origini nigeriane Giannīs Antetokounmpo, 211 cm per 110 kg, ala grande dei Milwaukee Bucks. Ormai da anni tra i più affermati e pagati giocatori del massimo campionato statunitense, nella gara 6 delle Finals NBA 2021 del 20 luglio il ragazzone col numero 34 ha scritto una pagina di basket già entrata nei libri di storia. Solamente Bob Pettit nel lontano 1958 aveva segnato 50 punti in una partita valida per il titolo, gli stessi eguagliati da Antetokounmpo con una prova straordinaria. Una festa per il secondo titolo NBA attesa 50 anni esatti dai 17000 del Fiserv Forum e dall’intera città del Wisconsin, dopo l’affermazione del 1971 ai tempi del mitico Kareem Abdul-Jabbar. E un “finale” (ma a 26 anni e con quel talento, meglio parlare di un primo grande traguardo) da favola per il loro leader in campo.

Le origini

Una storia personale che, come ogni fiaba che si rispetti, ha avuto il proprio inizio tra miseria, difficoltà e dolore, e che ha posto il piccolo Giannīs e la sua famiglia di fronte e dure prove. Figlio di immigrati nigeriani, Giannīs Sina Ugo Antetokounmpo è nato ad Atene, in Grecia, il 6 dicembre 1994. Tre anni prima i suoi genitori Charles Adetokunbo (di etnia yoruba) e Veronica (igbo), due atleti, erano partiti da Lagos in cerca di fortuna, lasciando il figlio primogenito Francis con i nonni. Per meglio integrarsi nella nuova realtà, i genitori decisero di dare nomi greci ai nascituri e di “ellenizzare” la forma scritta del cognome. Un cognome pesante che, alla luce dei recenti avvenimenti, sembra rivestirsi di una simbologia profetica degna del nomen omen degli antichi latini. “Ade” in yoruba significherebbe infatti “corona, re”. “Tokunbo” esprimerebbe invece il concetto di un bambino nato in un Paese lontano da quello di provenienza dei genitori, dall’Africa, che ritorna nel luogo di origine familiare. Il significato del cognome sarebbe quindi “Re nato all’estero che ritorna alle sue origini” o “La corona è tornata dall’estero”. Quando si dice il destino…

Sebbene Giannīs e tre dei suoi quattro fratelli fossero nati in Grecia, non ricevettero la cittadinanza greca alla nascita poiché la legge sulla nazionalità si fonda sullo ius sanguinis. Per i primi 18 anni della loro vita i fratelli Antetokounmpo sono stati effettivamente apolidi, senza documenti dalla Grecia e nemmeno dalla Nigeria. Non è stato facile per loro crescere a Sepolia, il quartiere “difficile” di Atene, popolato di immigrati e criminalità. Un luogo in cui vive chi non ha altro posto in cui andare, ma dall’identità comunitaria forte e a cui la famiglia rimarrà molto legata. I genitori non riuscivano a trovare facilmente lavoro, ritrovandosi spesso a vivere nella semi- clandestinità. I pasti erano scarsi e spesso mancavano del tutto, e il piccolo Giannīs imparò presto il significato della parola povertà, in uno scenario reso ancora peggiore dalla perenne crisi economica greca. Lui e suo fratello maggiore Thanasīs iniziarono così ad aiutare la madre venditrice ambulante a vendere per strada borse, occhiali da sole e orologi taroccati, sperando di non essere fermati dalla polizia e rispediti in Nigeria con qualche estradizione.

Ma la voglia di giocare dei bambini non si spegne nemmeno in mezzo alle difficoltà. Così, tra un calcio e un palleggio, il pallone divenne un fedele compagno per i piccoli. Giannīs si innamorò del basket in una piccola palestra di periferia, lontana otto kilometri, in cui cominciò a trascorrere sempre più tempo. A volte, vi si fermava addirittura a dormire la notte, raggomitolato nella sua felpa, per la preoccupazione dei genitori. La stanchezza era spesso più forte della prospettiva di una lunga camminata verso casa e di una misera cena. In quella palestra a quattordici anni venne notato da un agente del Filathlitikos Zografou, squadra di seconda divisione, e quel primissimo contratto giovanile garantì per la prima volta un pasto dignitoso a tutta la famiglia. «Se mangio io, devono mangiare anche loro» disse.

L’approdo all’NBA

Il fisico e le capacità di Antetokounmpo, pur ancora lontane dal proprio massimo sviluppo, gli consentirono di mettersi in luce durante la sua crescita nei campionati greci, fino ad essere annotato sui taccuini di osservatori NBA durante un torneo internazionale in cui, a dir la verità, non aveva eccelso. Ma evidentemente le sue potenzialità erano già chiare agli addetti ai lavori, venendo improvvisamente considerato per i Draft NBA 2013 e selezionato a sorpresa come quindicesima scelta assoluta dai Milwaukee Bucks. Ad attenderlo un contratto base lontano anni luce da quelli dei big, ma inimmaginabile fino a pochi mesi prima per un ragazzo di Sepolia. In previsione dell’evento, lo Stato greco si svegliò di colpo dal torpore concedendo a Giannīs la cittadinanza onoraria per meriti sportivi: mandare al Draft un apolide sembrava poco opportuno al governo di Atene. Erano gli anni di Alba Dorata e dall’operazione scaturì anche un’ondata di odio nei confronti di un ragazzo che, per alcuni nazionalisti, non potrà mai essere veramente greco. Almeno finché non farà comodo ritrovarsi un campione in Nazionale.

Fiero di essere greco e nigeriano insieme è invece Giannīs, che adora il souvlaki ed è cresciuto frequentando la Chiesa greca, ricevendo il battesimo ortodosso insieme a suo fratello Alex il 28 ottobre 2012. Nel luglio 2016, i fratelli Giannīs e Thanasīs avrebbero invece prestato il servizio militare obbligatorio in Grecia, ridotto a tre mesi come prescritto per i cittadini greci residenti permanenti all’estero. Gli stessi soprannomi prontamente affibbiatigli dai nuovi fan e dai giornalisti americani, “The Greek Freak” e “The Human Alphabet”, giocano affettuosamente sulla sua inedita essenza afro-ellenica e sul suo impronunciabile cognome. Nell’autunno del 2013 Antetokounmpo poté allacciarsi per la prima volta le scarpette su un parquet NBA, ed era un sogno che si realizzava. Con sé aveva portato l’intera famiglia, perché la regola è sempre la stessa: se mangia lui devono mangiare tutti. Gli inizi sulle sponde del lago Michigan, nella città a tradizione motoristica famosa per la Harley- Davidson, non furono dei più semplici; il periodo di ambientamento, la giovanissima età e una consapevolezza fisica e tecnica ancora tutta da formare nel campionato più importante ed esigente della palla a spicchi mondiale sembravano suggerire un approccio cauto.

I tre fratelli Antetokounmpo allo Staples Center di Los Angeles

Testate come il New York Times ipotizzarono un prestito di un paio di stagioni in un team europeo, al fine di consentire una crescita adeguata agli standard americani, mentre lo stesso Giannīs, poco impiegato dalla panchina, arrivò a chiedere alla società di essere dirottato per qualche tempo a maturare nella NBA Development League. Coach Jason Kidd, ex stella due volte campione olimpico, non volle saperne e credette in lui. Gli scampoli di partita aumentarono di minutaggio, e con essi tutte le percentuali, per una fiducia nei propri mezzi sempre maggiore; l’intera squadra ne avrebbe beneficiato nel rendimento. Era nato un nuovo idolo per i tifosi verde-crema. The Greek Freak sarebbe stato capace di imporsi nel giro di pochi campionati come uno dei migliori cestisti della sua generazione e tra i giocatori più dominanti della lega, una delle migliori ali grandi di sempre. Antetokounmpo è quello che nel basket USA chiamano “unicorn”: un animale mitologico, ma che a volte può esistere anche nella realtà. Un ragazzo con mezzi atletici pazzeschi, dalla falcata “disumana”, le braccia che sembrano ali d’aereo (estese, arrivano a 222 centimetri), e l’elevazione spaventosa. Quasi un Hermes con le ali ai piedi, o un moderno Icaro.

Criticato in passato per la sua propensione a tenersi lontano dalle mischie sotto canestro, Alphabet ha cambiato registro giocando quasi sempre all’interno della linea dei tre punti, tenendo molto la palla, permettendo ai Bucks di spostare il loro peso in attacco e sfruttare al massimo il suo talento. Dopo la delusione della “bubble” (la “bolla” dei Playoff 2020 a Orlando) e la firma sul rinnovo contrattuale, tanto apprezzata da tutta Milwaukee, una stagione con alti e bassi ha riservato il più classico degli happy ending hollywoodiani a Giannīs. Oggi le parole sono di orgoglio per la fedeltà dimostrata al suo club: «Potevo andare via, ma ho vinto qui». Una chiara frecciata alle lusinghe ricevute, anche se Milwaukee per trattenerlo gli verserà ben 228 milioni di dollari in cinque anni. Soldi meritati, comunque. «Non potevo lasciare Milwaukee senza vincere un titolo, per questo ho firmato l’estensione» continua il due volte MVP «Sarebbe stato facile andare in qualche altra squadra, magari in un super team e conquistare l’anello, ma io volevo farlo nel modo più difficile, con questi compagni e in questa città che considero casa mia.

Una promessa di vittoria che Antetokounmpo aveva fatto già nel lontano luglio 2014, quando in pochissimi, persino a Milwaukee, pensavano che potesse diventare MVP e campione NBA a soli 26 anni. Parole che rivolse alla città del Wisconsin, a una comunità che gli ha cambiato la vita, che lo ha reso una star mondiale dello sport e che soprattutto ha creduto in lui quando era ai margini: «Non andrò mai via da questa squadra e da questa città fino a quando non avremo costruito un gruppo in grado di lottare per il titolo».

“Quando ho iniziato a giocare a basket non avrei mai pensato di poter vincere il titolo NBA, ma questo deve essere un messaggio per tutti, in qualsiasi parte del mondo. Credete ai sogni, per quanto pazzeschi siano, lavorate duro e non curatevi dei critici». Il momento più commovente rimarrà quello dell’immediato dopopartita, in cui il gigante di Sepolia si è estraniato brevemente dai festeggiamenti inginocchiandosi sul parquet per poi lasciarsi andare a lacrime liberatorie, prima di correre incontro alla sua famiglia e stringersi in uno struggente abbraccio. «I miei genitori hanno fatto sacrifici enormi per me. Mia madre ha lavorato durissimo e non mi ha mai messo pressione, mio padre invece mi sta guardando dal cielo. Non posso che dedicare a loro, ai miei fratelli e alla mia compagna questo titolo. Se sono arrivato fino a qui il merito è loro». Una festa incredibile per tutta la famiglia Antetokounmpo. A sollevare il trofeo c’è infatti anche il fratello maggiore Thanasīs, da due stagioni compagno di squadra a Milwaukee, mentre il fratello minore Kōstas aveva vinto da comprimario il titolo con la maglia dei Los Angeles Lakers solo lo scorso ottobre. Tre fratelli campioni con l’anello NBA, un caso unico nella storia. Un’incredibile storia familiare di sport e riscatto sociale.

La sua storia in un film Disney

Una famiglia che accompagna il neo campione ad ogni occasione, anche sulla maglia: il numero 34 che indossa è infatti in onore all’anno di nascita dei genitori, nati nel 1963 e nel 1964. La storia di Giannīs sarà raccontata in un film Disney, il cui titolo sarà proprio The Greek Freak. Coach Mike Budenholzer, interpellato riguardo al suo fuoriclasse, avrebbe poi affermato: «L’essere umano è ancora più incredibile del giocatore».

«Abbi fede in quello che fai. Non permettere a nessuno di dirti chi puoi essere o cosa non puoi fare» è stato il messaggio ai fan che Antetokounmpo ha consegnato ai social dopo la vittoria. «Otto anni fa, non sapevo dove avrei trovato il mio prossimo pasto» ha ricordato il miglior giocatore della finale «Mia madre vendeva roba per strada. E oggi sono qui, seduto in cima al mondo». Dopo tanti sacrifici e sofferenze, l’Olimpo del basket è finalmente raggiunto, e una moltitudine di ragazzi nel mondo, immigrati di seconda generazione come lui e non, hanno trovato il proprio eroe. Si dice che chi viene dalla strada non dimentichi mai veramente le sue umili origini. “Ulisse” Antetokounmpo ha varcato i mari in cerca di gloria, come già i suoi genitori avevano fatto prima di lui. Ma il filo che lo lega alla difficile eppure tanto amata Sepolia, a cui è rimasto legato, non si è mai rotto. Tanto da donare cibo per i suoi ex concittadini bisognosi attraverso la chiesa locale durante il lockdown del 2020. Così come a impegnarsi a donare 100.000 dollari allo staff del Fiserv Forum che non era stato in grado di lavorare durante la sospensione della stagione NBA 2019-20 a causa della pandemia da COVID-19. In quelle delicate settimane, Antetokounmpo e la sua famiglia hanno anche donato 20.000 mascherine a persone e associazioni di Atene e Zografou, proprio là dove tutto era iniziato. Senza contare i progetti di beneficenza da avviare presto in Africa e in quella Nigeria che non ha ancora conosciuto.

Milwaukee, Atene, Lagos. Giannīs, il bambino senza patria che rincorreva il suo destino per strada, ce l’ha fatta. E ora potrà tornare da re nella sua Itaca, qualunque essa sia.

(Paolo Vezzoli)

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