Gambia: tendenze, chef impegnati a decolonizzare la tavola

di Valentina Milani

La decolonizzazione dell’immaginario passa anche attraverso la cucina e la tavola. A sostenerlo è lo chef del Gambia Ousman Manneh, che insieme con altri colleghi si sta impegnando per recuperare le tradizioni alimentari dell’Africa occidentale. Manneh, che lavora al Luna Lounge di Kololi, uno dei più noti ristoranti del Gambia, afferma che, laddove il traffico di turismo è più intenso e le influenze esterne risultano più forti, la decolonizzazione del gusto diventa una sfida particolarmente importante.

“Se vogliamo andare avanti come popolo, come continente, il nostro cibo deve essere locale”, ha dichiarato Manneh in un’intervista pubblicata da The Chronicle. “Il novanta per cento del nostro cibo proviene da fuori: Europa, Nord America, persino Nuova Zelanda. Chef e ristoranti devono prendere l’iniziativa per responsabilizzare l’agricoltore africano”.

Nel corso dei secoli, i cereali nativi africani come il sorgo e il fonio sono stati eclissati da grano, riso e semi oleosi stranieri, colture importate che spesso generano iniquità finanziarie e sociali, osserva Manneh. Nelle economie locali di frequente non possono essere lavorati e quindi alla fine non possono essere consumati. La produzione agricola è stata posta al servizio delle esportazioni. “Ma quando possono essere utilizzati, finiscono con lo scalzare gli ingredienti autoctoni”.

Esemplare, da questo punto di vista, secondo lo chef gambiano, il caso dello Yassa, popolare condimento diffuso nella regione del Senegambia, a base di cipolle usato per accompagnare il pollo e il pesce. Oggi lo si prepara con la senape, che però è un ingrediente non presente nella cucina della tradizione. Manneh cita anche il dado da brodo, che ha usurpato la carrube (conosciuta a livello regionale come Sounbareh o Dawadawa) e i semi di sesamo fermentati (Ogeri) come principale esaltatore di sapidità dell’Africa occidentale.

Il recupero degli ingredienti tradizionali sta a cuore anche allo chef Saikou Bojang, che però non disdegna il metissage nell’esecuzione dei piatti. Dopo 20 anni di cucina in oltre una dozzina di Paesi, è tornato in Gambia nel 2017 per correggere lo squilibrio esistente tra globalizzazione culinaria e recupero degli ingredienti autoctoni, e da allora ha fatto vincere al suo Paese tre ori al prestigioso African Food Festival.

Per Bojang rinvigorire la cucina tradizionale dell’Africa occidentale significa prevenire la fuga di cervelli culinari che ha afflitto la regione in passato. Oggi viaggia nell’Africa occidentale, insegnando alle prossime generazioni di chef a onorare la loro eredità culinaria e a valorizzare gli ingredienti locali, ma sotto il segno dell’integrazione. “Credo nell’integrazione ”, dice. Le sue creazioni sono una fusione innovativa della cucina tradizionale gambiana con i gusti occidentali, con piatti come la cheesecake al wonjo, il cordon bleu di pollo Yassa, il budino Churragerrte e il brownie alla barbabietola.

(Stefania Ragusa)

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