Fotografia, africani protagonisti a Arles 2021

di Stefania Ragusa

Dal 4 luglio fino al 26 settembre, come sanno tutti gli appassionati, les Rencontres d’Arles (gli incontri di Arles), in Francia, diventano l’epicentro mondiale della fotografia. Quest’anno in programma ci sono varie mostre focalizzate sul continente africano, in una significativa varietà di format e argomenti. Thawra! Révolution!, per esempio, è un progetto documentaristico e politico. Curata da Juliette Agnel e Duha Mohammed e ospitata presso la chiesa dell’ordine dei Trinitari, questa esposizione racconta la rivoluzione sudanese attraverso l’obiettivo di otto giovani fotografi sudanesi scesi in strada, a fianco dei manifestanti a partire dalla fine del 2018.
“Dopo trent’anni di dittatura religiosa e militare e guerra civile, l’11 aprile 2019 i sudanesi hanno provocato la caduta di Omar al-Bashir, l’uomo che aveva imposto loro un regno incontrastato dal colpo di stato del 1989”, si legge nel testo di presentazione. “Nonostante il rischio di essere arrestati e torturati dalla polizia politica del regime, per cinque mesi i sudanesi sono scesi in piazza a migliaia. Spinta dal desiderio di documentare la resistenza e la repressione, si è distinta una nuova generazione di fotografi. Hanno tra i 19 ei 30 anni, trasmettono le loro immagini sui social network e sono sia attori che osservatori di questo momento storico”.

©Moha Ismael in Thawra! Révolution!

Altra esposizione degna di nota, benché di rapida visualizzazione, è État d’esprit africain. Villes hybrides, allestita presso Le jardin des voyageurs e curata da Ekow Eshun, intellettuale britannico di origine ghanese, autore del volume L’Africa del XXI secolo (in Italia edito da Einaudi) che offre uno sguardo antologico sulla fotografia africana contemporanea. Hybrid Cities si focalizza su tre megalopoli africane – Lagos, Cairo e Kinshasa – impegnate in un’accelerazione senza precedenti, rivelando sia le tensioni che le possibilità generate dalla loro condizione. “L’apparente caos delle strade affollate si risolve in forme e colori inaspettati. In un contesto di infrastrutture incerte e, a volte, di scarse prestazioni sociali, uomini e donne organizzano la propria vita e lavorano secondo le proprie possibilità, creando affinità che fioriscono e prosperano anche sotto costrizione”, si legge nel testo di presentazione.

©Emmanuelle Andrianjafy in État d’esprit africain. Villes hybrides

Le jardin des voyageurs, nell’ambito riservato agli artisti emergenti, ospita anche Sibadala Sibancane, personale della sudafricana Lebogang Tlhako, centrato sul rapporto tra l’artista e sua madre. Sibadala Sibancane significa siamo vecchi, siamo giovani ed è realizzata utilizzando una tecnica diacronica e documentaristica di collage. “La serie ricorda i giorni in cui era consuetudine per le donne della classe media tenere un album fotografico. Tlhako riporta in vita questa nostalgia creando collage che sovrappongono immagini degli archivi di sua madre a paesaggi o ritratti ritagliati di bambini della sua stessa comunità”, spiega la curatrice Fulufhelo Mobadi.

©Lebogang Tlhako in Sibadala Sibancane

Presso la chiesa di Sant’Anna è allestita The New Black Vanguard. Photographie entre arte et mode, curata da Antwaun Sargent, scrittore afroamericano, nominato pochi mesi fa direttore della Gagosian Gallery. “The New Black Vanguard presenta artisti i cui vividi ritratti e immagini concettuali fondono arte e fotografia di moda e abbattono confini consolidati”, si legge nel testo di presentazione. “Le immagini avviano una conversazione intorno alla rappresentazione del corpo nero e della vita nera come soggetto. Collettivamente, celebrano la creatività nera e l’ibridazione tra arte, moda e cultura nella costruzione di un’immagine”. La foto d’apertura, uno scatto di Dana Scruggs, rientra in questa collettiva.

Al Palazzo Arcivescovile sono esposti cento ritratti firmati dal fotografo sudafricano Pieter Hugo, che presenta il suo lavoro Être Présent in questi termini: “Esso riguarda l’essere straniero: sento di abitare questo spazio da solo e di adottare questa nozione per interagire con le persone che fotografo. . Comincio quasi sempre il mio lavoro presentandomi: guardo e la gente ricambia lo sguardo. Quando crei un ritratto, il cinismo scompare per un breve momento. C’è bellezza nell’essere trattenuti nello sguardo dell’altro”.

©Pieter Hugo in Être Présent

La Scuola Nazionale di Fotografia ospita, infine, Jardins Migratoires, una collettiva che riunisce i lavori anche multimediali realizzati dagli studenti della scuola in seguito all’incontro con l’artista cileno Enrique Ramírez, ospitato in residenza per diversi mesi. La mostra affronta in varie, possibili declinazioni il tema delle migrazioni e dei confinamenti, un tema che non riguarda in modo esclusivo l’Africa ma risulta fortemente intrecciato con la contemporaneità del continente.

Enrique Ramírez, El intento de un mar, 2017. Vidéo in Jardins Migratoires

(Stefania Ragusa)

Condividi

Altre letture correlate: