Africa: restituzione oggetti culturali, la via del Belgio

di Enrico Casale

Il governo belga ha presentato martedì la strada che intende seguire per affrontare la questione, sempre più attuale e dibattuta, della restituzione ai Paesi africani delle opere d’arte e degli oggetti culturali acquisiti in modo illegittimo.

Nel caso di Bruxelles, il Paese interessato alla restituzione è soprattutto la Repubblica democratica del Congo e gli oggetti contestati sono quelli acquisiti nel periodo compreso tra il 1885 e il 1960.
Il governo belga si sta muovendo autonomamente, senza avere al momento ricevuto una richiesta formale da Kinshasa.

Nelle sue collezioni il Belgio conserva circa 85.000 oggetti dell’attuale Repubblica Democratica del Congo originari dell’ex Congo Belga: statuette, maschere, utensili di uso quotidiano, conservati principalmente nell’ex Museo Reale per l’Africa Centrale di Tervuren, recentemente rinnovato nel suo impianto espositivo e rinominato Africa Museum.

Una piccola percentuale di questi oggetti (l’uno per cento) risulta senza incertezze acquisita in modo improprio, essendo frutto di saccheggi, espropri o acquisti esitati in condizioni fortemente sbilanciate. Thomas Dermine, segretario di Stato per il Recupero e gli Investimenti Strategici, responsabile della politica scientifica belga, ha proposto che questi oggetti, indipendentemente dal fatto che Kinshasa li abbia richiesti o meno, vengano riportati giuridicamente parlando nella proprietà della Repubblica Democratica del Congo.
“Abbiamo prove storiche sufficientemente solide per dire che sono state acquisite in condizioni di saccheggi, massacri, violenze”, ha dichiarato Dermine alla stampa.

Gli oggetti in questione non saranno quindi più considerati di proprietà dello Stato belga, ma di quello congolese, anche se mantenuti nel territorio belga in attesa di concordare modi e tempi per la trasmigrazione.
“Il carattere innovativo della nostra proposta è quello di scindere la questione della restituzione materiale dei beni da quella giuridica”.

Per un 60 per cento circa degli oggetti presenti nelle collezioni belghe, invece, “vi sono relativamente pochi dubbi sul fatto che siano stati acquisiti legittimamente, in circostanze di donazione o commercio equilibrato”, osserva Dermine.

Rimane, quindi, circa un 40% degli oggetti, “per i quali c’è una reale necessità di accelerare gli studi di provenienza”. E questi studi rappresentano il secondo e essenziale passaggio della roadmap presentata martedì. “Vogliamo avviare nei prossimi mesi il lavoro diplomatico con il Congo per andare avanti sull’organizzazione giuridica e istituire una commissione mista belga-congolese”.

La cooperazione scientifica tra ricercatori belgi e congolesi in realtà è già in atto, ma la portata del compito è colossale. Guido Gryseels, amministratore delegato di Africa Museum, stima che ci vorranno almeno cinque anni e un investimento di 2,5 milioni di euro per determinare la provenienza di tutti gli oggetti le cui condizioni di acquisizione rimangono incerte. Gryseels osserva inoltre che la nozione di illegittimità è ambigua e complessa e una sua applicazione giuridica non è esente da dubbi interpretativi, soprattutto se ci si riferisce a oggetti ottenuti sì senza violenza, ma comunque nell’ambito di una transazione squilibrata.

Dermin conta di presentare i progressi e gli aggiornamenti rispetto a questo piano d’azione il prossimo anno, insieme con le conclusioni della commissione parlamentare per la verità e la riconciliazione sul passato coloniale belga in Congo, previste appunto per il 2022.

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