Etiopia, la repressione si fa dura: 1.600 arresti

di Enrico Casale
Oromo protestano contro la repressione governativa
manifestazioni antigovernative in etiopia

Manifestazioni antigovernative in Etiopia

Continua senza sosta la repressione delle forze di sicurezza in Etiopia. Secondo Fana, l’agenzia di stampa statale, più di 1.600 persone sono state arrestate dallo scorso 9 ottobre, quando le autorità hanno dichiarato lo stato di emergenza. Oltre agli arresti, secondo l’agenzia, sarebbero state sequestrate anche 760 armi che erano state saccheggiate durante i disordini.

Addis Abeba vuole così reprimere le manifestazioni di dissenso da parte delle etnie oromo e amhara. Queste ultime contestano «l’occupazione dello Stato» da parte dell’etnia tigrina (7% della popolazione) che, dagli anni Novanta, gestisce in modo quasi esclusivo il potere in Etiopia. Alle rivendicazioni etniche si somma il malcontento di ampi strati della popolazione rurale tagliata fuori dallo sviluppo crescente del Paese.

Lo stato di emergenza di sei mesi è stato proclamato dalle autorità di Addis Abeba a seguito della morte di almeno 55 persone in una marcia indetta per una festività religiosa trasformatasi in una protesta anti-governativa nella regione di Oromia. Si tratta di un provvedimento molto duro che prevede, tra le altre cose, la possibilità di detenzione senza mandato d’arresto; il divieto di utilizzo delle piattaforme di social media come Facebook e Twitter; il divieto di trasmissione dei canali televisivi Tv Esat e Omn, che trasmettono dall’estero e considerati dal governo «affiliati a organizzazioni terroristiche»; il divieto di organizzare manifestazioni nelle scuole e nelle università; il divieto di compiere gesti politici; il divieto per i diplomatici di viaggiare per più di 40 chilometri lontano da Addis Abeba in assenza di un permesso da parte del governo.

Hailemariam Desalegn

Il premier etiope Hailemariam Desalegn

Oltre alla dura repressione, il Governo ha accusato di fomentare l’instabilità presunti «nemici stranieri» che hanno base in Egitto e in Eritrea. L’Eritrea è il tradizionale nemico dell’Etiopia. Tra i due Paesi, dopo la sanguinosa guerra che si è combattuta negli anni Novanta, non ci sono relazioni diplomatiche e non è mai stato firmato un trattato di pace. Con l’Egitto, il dissidio è legato alla gestione delle acque del Nilo. La costruzione di una grande diga sul Nilo Blu metterebbe a rischio l’attuale portata del Nilo dal quale l’Egitto trae la maggior parte delle risorse idriche.

Secondo le stime delle organizzazioni per i diritti umani, almeno 500 persone sono morte durante le proteste anti-governative scoppiate nel novembre 2015 contro il piano di espansione della città di Addis Abeba nella regione di oromia. Le manifestazioni sembravano essersi placate in estate, ma a riaccendere la questione era stato nel mese di agosto il plateale gesto di Feyisa Lilesa, il maratoneta etiope che alle Olimpiadi di Rio ha concluso la gara con le braccia incrociate in segno di protesta contro il Governo per la repressione dei manifestanti di etnia oromo. Lilesa, che in conferenza stampa subito dopo la gara aveva dichiarato che la sua vita era in pericolo, ha in seguito ottenuto un visto accelerato da parte delle autorità Usa dopo che i suoi legali avevano fatto sapere di aver avviato le pratiche per la richiesta d’asilo negli Stati Uniti, sebbene il portavoce del governo etiope, Getachew Reda, avesse dichiarato che Lilesa sarebbe stato accolto «come un eroe» al suo rientro in patria.

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