Emigrare è difficile. Rientrare in patria anche

di Enrico Casale
Senegal

«Vorrei rimanere in Senegal a lavorare la terra che mi ha lasciato mio padre. Sono stanco di stare lontano dai miei cari, ma ho bisogno di migliorare la produzione affinché la mia famiglia possa vivere tranquilla». Dethie Mbengue ha vissuto per anni in Toscana. Ha lavorato duramente nelle concerie di cuoio, mantenendo la sua famiglia. Ma ora ha un sogno: rientrare nel suo Paese, lavorare la sua terra e stare vicino ai suoi cari. Come lui, molti senegalesi, dopo anni trascorsi all’estero, desiderano tornare. Ma il rientro non è sempre facile. Dopo un lungo periodo trascorso in Europa, il rischio è di non reintegrarsi facilmente nel proprio Paese di origine. Molti poi vogliono reinvestire i loro risparmi, ma non sanno come fare e rischiano di finire nelle mani di mediatori senza grandi scrupoli.

La Ong cuneese Lvia, insieme alla Cooperazione italiana allo sviluppo, la Caritas e alcune organizzazioni della diaspora senegalese (Ast, Sunugal e Cossan), ha lanciato un progetto per il reinserimento socio-professionale dei migranti senegalesi di ritorno. Attraverso questa iniziativa si vuole valorizzare il potenziale dei migranti rientrati in Senegal, effettuando un accompagnamento tecnico e finanziario per lo sviluppo di idee imprenditoriali nella Regione di Thiès.

Dopo una fase di studio del fenomeno dei rientro in patria, il progetto intende intercettare e accompagnare i migranti di ritorno attraverso 16 atelier per coinvolgere le istituzioni e i migranti di ritorno sul territorio; percorsi di formazione su start-up, gestione d’impresa e sui settori di investimento di maggior interesse: agro-alimentare, commercializzazione, ambiente, turismo, ecc.; assistenza tecnica per l’elaborazione dei progetti di impresa e dei business plan; finanziamento e supporto dei progetti selezionati sulla base di criteri di sostenibilità e innovazione.

Ma a chi è indirizzato il progetto? Anzitutto ai migranti già tornati in Senegal (nella regione di Thiès) e che oggi stentano a reintegrarsi sia socialmente che professionalmente, avendo perso, dopo a volte 20-25 anni passati fuori dal Paese, ogni tipo di relazione e non riescono ad adattarsi ad un contesto socio-economico che nel tempo è profondamente mutato. A volte, alcuni di loro, durante la loro permanenza all’estero, hanno potuto risparmiare cifre considerevoli e sono quindi nelle condizioni di «investire», altre volte, invece il migrante torna in Senegal avendo perso già tutto ancora prima di ripartire.

La Ong cerca però di intercettare anche i migranti in rotta verso l’Europa e che sono in molti casi costretti a trascorrere mesi o persino anni a Gao, in Mali, in condizioni estremamente difficili in attesa di trovare l’occasione propizia per riprendere il viaggio. Nell’attesa però consumano, per sopravvivere, tutti i soldi con cui erano partiti e sono quindi disperatamente alla ricerca di piccole occupazioni.

Infine, il progetto cercherà di contattare gli emigrati in Italia (in Piemonte, Lombardia e Toscana) che stanno organizzando il loro rientro in Senegal, sia perché hanno perso il lavoro, sia per altri loro motivi personali, famigliari o professionali.

Il numero totale di beneficiari diretti è quindi stimato a 350 e quello dei beneficiari indiretti (i membri delle loro famiglie) a circa 2.500.

Il rientro non è sempre semplice, ma i migranti sono ottimisti. «Abbiamo tanta terra a disposizione – spiegano Abdoul Mbacké e Ousseynou Babou –, dobbiamo tentare di essere autosufficienti sull’approvvigionamento dell’acqua. Piano piano ci riusciremo».

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