Costa d’Avorio | Schermaglie Ouattara-vescovi sulle presidenziali

di Pier Maria Mazzola

«Non ci saranno cambiamenti nella Costituzione per impedire a chicchessia di candidarsi», ha dichiarato ieri il presidente della Costa d’Avorio. Alassane Dramane Ouattara (“Ado”) aveva in precedenza annunciato modifiche alla Legge fondamentale vigente, adottata nel 2016, in vista di renderla «più coerente». In molti si aspettavano che queste includessero il limite di età di 75 anni per i candidati. In tal caso sarebbero rimasti esclusi gli storici rivali Laurent Gbagbo e Henri Konan Bédié.  «La nuova Costituzione – ha ribadito Ouattara – prevede che chiunque possa essere un candidato, non fissa alcun nessun limite di età e non ho intenzione di cambiarla».

Quanto a sé stesso, il 78enne presidente – ex alto funzionario del Fondo Monetario Internazionale, primo ministro dello Stato ivoriano dal 1990 al 1993 e effettivamente alla sua testa dal 2011 – ha dichiarato che scioglierà a luglio la riserva sulla propria candidatura.

Le dichiarazioni intervengono in un momento di tensione tra presidenza e vescovi. «Ouattara straccia i consigli della Chiesa cattolica», ha titolato in prima pagina Le Nouveau Réveil (organo ufficiale, va detto, del partito di Konan Bédié, il Pdci); titoli analoghi su altri quotidiani ivoriani. Che cos’era successo? Domenica scorsa, la Conferenza episcopale (Cecci) aveva pubblicato un messaggio in vista delle elezioni in calendario per il 31 ottobre: un vigoroso e argomentato appello che prelude a un’imminente lettera pastorale sullo stesso tema.

Lamentando che il «grande cantiere» per la riconciliazione nazionale lanciato dalle «autorità statali» all’indomani della crisi post-elettorale del 2010, una vera guerra civile, non abbia dato esiti, «com’era da attendersi – scrivono i vescovi – si sono rifatti vivi i risentimenti, manifestatisi anche in rivolte e conflitti intercomunitari il cui bilancio si misura in perdite di vite umane». A questa «frattura sociale», alimentata dalla circolazione di armi che avrebbero dovuto essere raccolte nel processo postbellico, «è venuta ad aggiungersi quella dei partitl politici […]. Gli alleati di ieri sono diventati avversari e, oggi, anche nemici».

Quattro le condizioni che i vescovi dettano per un appuntamento elettorale che possa essere pacifico e rappresentare una vera svolta per il Paese. La prima è la «riconciliazione, che presuppone il ritorno degli esuli con garanzie di sicurezza e reintegrazione, e la liberazione di tutti i prigionieri politici e d’opinione»; quindi «la concertazione», per tenere in conto le esigenze e le aspirazioni legittime di tutti gli attori socio-politici; in terzo luogo, «l’instaurazione e il consolidamento» dello Stato di diritto, nel rispetto della Costituzione e con la garanzia, da parte del potere esecutivo, che la Commissione elettorale indipendente possa essere veramente tale; infine, conseguenza del punto precedente, «elezioni presidenziali aperte, che garantiscano pari opportunità a tutti i candidati».

La reazione non si è fatta attendere. Martedì, il portavoce del governo, Tiémoko Touré, ha rintuzzato che non è vero che ci siano prigionieri politici in Costa d’Avorio, né che si siano arrestati i lavori della “Commissione dialogo, verità e riconciliazione” e di quella per l’indennizzo delle vittime, tant’è vero che 800 persone, che erano detenute per il loro coinvolgimento nella crisi «post-elettorale» di dieci anni fa, sono state amnistiate nel 2018. Quanto all’effettiva indipendenza della Commissione elettorale, «il presidente della repubblica l’ha affermato: su questo non sarà possibile alcun ritorno indietro».

Il confronto riscalda gli animi. Le Patriote, giornale ufficiale del partito di Ouattara, il Rassemblement des républicains (Rdr), ha accusato la Chiesa di fare il gioco delle opposizioni; ma i cittadini con la memoria più lunga sottolineano che non c’è nessun preconcetto nella presa di posizione di domenica: e ricordano come nel pieno della crisi il medesimo quotidiano riportasse, nel gennaio 2011, l’appello dell’episcopato a che Laurent Gbagbo cedesse il potere ad Alassane Ouattara, uscito vincitore dalle urne.

Foto: il presidente della Costa d’Avorio Ouattara con mons. Jean-Pierre Kutwa, oggi cardinale, nell’ottobre del 2011

 

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