Corrida malgascia

di AFRICA

È una via di mezzo fra il rodeo americano e la tauromachia spagnola, ma a differenza di quest’ultima non prevede l’uccisione né il ferimento degli animali. Perché lo zebù è sacro e celebra il coraggio dei giovani betsileo.

Andry Rafanambinantsoa, 28 anni, beve un sorso di rum per alleggerire la tensione. Tra pochi istanti entrerà nell’arena dove lo attende uno zebù furente di quasi una tonnellata. Lo sfiderà a mani nude, senza alcuna protezione, facendo ricorso unicamente alle proprie abilità fisiche e mentali. Si aggrapperà al collo della bestia per tentare di domare la sua collera e di schivare le lunghe e micidiali corna. «Per non soccombere, bisogna fare le mosse giuste senza un attimo di esitazione – spiega il ragazzo –. Serve concentrazione, agilità, velocità. Capacità di dominare i propri istinti, i propri nervi. E, naturalmente, tanto coraggio».

Rito di passaggio

Nella regione di Fianarantsoa, sull’altopiano sudorientale del Madagascar, a circa 250 chilometri dalla capitale Antananarivo, il popolo dei Betsileo mette in scena da secoli una sorta di corrida volta a ostentare l’audacia e la forza dei suoi giovani. Si chiama Savika, dal verbo misavika che significa “afferrare” (le corna dell’animale, ovviamente). Gli antropologi la considerano una sorta di rito di passaggio all’età adulta, il momento in cui un adolescente mostra davanti a tutti il proprio valore ed entra a far parte attivamente della società.

Via di mezzo fra il rodeo americano e la tauromachia spagnola, la Savika del Madagascar è uno sport incruento, in quanto non prevede l’uccisione né il ferimento degli animali (semmai sono i giovani che terminano le loro performance con ferite e fratture). Lo zebù è un animale sacro per i Betsileo, considerati i più abili coltivatori del Paese. Permette di dissodare il terreno, compiere le opere di terrazzamento necessarie per le risaie, trasportare i raccolti fino ai mercati. La sua carne viene consumata solo in occasione di festività solenni. Nel sud del Madagascar, alla vigilia delle nozze è consuetudine che lo sposo rubi uno zebù per dimostrare il suo coraggio.

Status symbol

Sarebbe inconcepibile per un Betsileo uccidere uno zebù per divertimento. «Questo animale, a metà strada fra il bue e il toro, in Madagascar è considerato un segno di ricchezza, uno status symbol, come lo sono in Occidente le auto di lusso – spiega lo studioso Ernest Ratsimbazafy –. Grazie alla sua forza impressionante e alla sua resistenze poderosa, costituisce il motore dell’economia familiare nonché l’elemento aggregante della società agricola, com’è ben evidente durante gli spettacoli della Savika».

Gli incontri si svolgono durante la stagione secca, in occasione di ricorrenze ufficiali, matrimoni, battesimi, cerimonie funebri. Sono momenti di svago e di aggregazione. «Ma anche opportunità fondamentali per farsi notare dalle ragazze della zona e magari trovare la fidanzata», ricorda giustamente Andry, che nel frattempo viene acclamato dalla folla plaudente assiepata attorno all’arena circolare. Manca poco all’inizio del suo turno. All’interno della staccionata di legno, tre uomini stanno provocando e infastidendo lo zebù con lunghi bastoni. Sono gli addetti della Savika incaricati di far infuriare l’animale. Solo quando sarà evidente la sua rabbia e aggressività, lo spettacolo potrà avere inizio.

Corpo a corpo

Con un cenno della mano, il giudice designato indica che è giunto il momento. Con un balzo Andry scavalca la palizzata. Gli spettatori accalcati sugli spalti, che fino a quel momento bevevano e mangiavano come a una scampagnata, si alzano in piedi e urlano scalmanati per incitare lo sfidante. Il regolamento è chiaro. L’atleta dovrà afferrare le corna o il collo dello zebù e resistere per almeno trenta secondi aggrappato all’animale.

Se possibile, dovrà cavalcarlo; in ogni caso dovrà cercare di non farsi gettare a terra e calpestare… o, peggio, infilzare dalle corna. Una squadra di sanitari è pronta a intervenire al bordo dell’arena. Per Andry, fortunatamente, non è necessario. Il nostro giovane ha resistito per oltre un minuto nel suo corpo a corpo con lo zebù. Ora si gode giustamente le acclamazioni della folla festante e gli sguardi ammirati delle fanciulle. Prima di lasciare la scena va per un’ultima volta al centro dell’anfiteatro per rendere omaggio all’animale che gli ha permesso di essere eroe per un giorno.

(Jean-Jacques Andrianianfefana – foto di Henitsoa Rafalia)

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