Con Nonna Nehanda, lo Zimbabwe si riprende la sua storia

di Valentina Milani

Il trafficatissimo incrocio tra Samora Machel Avenue e Julius Nyerere Way ad Harare, capitale dello Zimbabwe, dal 26 maggio scorso è protetto dallo sguardo vigile della statua bronzea di nonna (“mbuye” in lingua shona) Nehanda, nata Charwe Nyakasikana, una “svikiro” (medium) del popolo Zezuru, che prima ancora dell’arrivo del conquistatore inglese Cecil Rhodes occupava lo Zimbabwe centro-settentrionale.

Due personaggi, Mbuye Nehanda e Cecil Rhodes, che, in modi molto differenti, sono alle fondamenta della storia moderna dello Zimbabwe, anche se con destini molto differenti: Rhodes fondò Salisbury, oggi Harare, governando con la forza e si studia sui libri di scuola, in Zimbabwe e non solo; mentre Nehanda fu impiccata nel 1898 ed è stata quasi dimenticata. Fino al 26 maggio, quando il presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa, in occasione dell’Africa Day 2021, ha inaugurato la statua bronzea di 3 metri che la ritrae, innalzata di fronte al punto in cui Nehanda era solita abbeverarsi e dove sorge la chiesa presbiteriana di Harare.

A Mbuye Nehanda sono già intitolati la sezione di maternità del Parirenyatwa Hospital di Harare e il dipartimento di scienze sanitarie dell’Università dello Zimbabwe.

La storia, che si mescola alla leggenda, racconta che Nyakasikana, nata nel 1840, divenne posseduta dallo spirito oracolare di Nehanda nel 1884: era una donna potente e impegnata nella difesa della cultura Shona e all’arrivo dei primi coloni europei occupava già una posizione importante nella gerarchia religiosa del Mashonaland, unica donna conosciuta che abbia mai ricoperto un ruolo così importante. Inizialmente i medium spiritici, tra cui Nehanda, promuovevano buone relazioni con i primi coloni bianchi ma man a mano che gli insediamenti crescevano (Salisbury, oggi Harare, fu fondata nel 1890) i coloni iniziarono a imporre tasse e a reclutare le popolazioni locali per i lavori più faticosi e pericolosi. Nel 1894 l’imposizione della tassa sulla capanna, dieci scellini per unità, provocò i primi malumori tra le popolazioni locali e nel 1896 sia gli Shona che gli Ndebele si ribellarono in quella che oggi si ricorda come primo Chimurenga (seconda guerra di Matabele). Fu una ribellione incoraggiata dai tre leader religiosi locali, tra cui proprio Nehanda.

La ribellione fu sedata duramente dai coloni comandati da Rhodes e si concluse nel 1897, quando nonna Nehanda fu arrestata e imputata per l’omicidio di Henry Hawkins Pollard, avvenuto l’anno prima: diversi testimoni la accusarono di aver ordinato la decapitazione di Pollard, fu condannata e impiccata nel marzo 1898 a pochi metri da dove oggi sorge la statua. Il suo cranio fu asportato dal cadavere e portato in Gran Bretagna come trofeo di guerra e oggi possono tutti osservarlo al Museo di Storia Naturale di Londra.

La leadership di Nehanda, durante il periodo coloniale della Rhodesia, divenne materia per la memoria clandestina delle popolazioni locali e fu fonte di ispirazione per la guerra di liberazione degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, quando il suo nome cominciò ad essere preceduto dal titolo di Mbuya, nonna, in segno di massimo rispetto. Il suo nome evoca ancora oggi un forte spirito patriottico. Tuttavia, se è vero che oggi la figura di Mbuya Nehanda è protagonista di un tentativo, politico e culturale, di “preservare la memoria degli eroi e delle eroine del Paese” e di tutelare e valorizzare la cultura locale tradizionale, come detto da Mnangagwa all’inaugurazione della statua, è anche vero che la lunghissima presidenza, oggi chiamata ufficialmente “prima repubblica”, di Robert Mugabe è stata caratterizzata da importanti operazioni di rimozione culturale. In particolare, proprio sugli aspetti più tradizionali della cultura Shona e Ndebele, nell’ottica di una modernizzazione del Paese: lo esemplifica il fatto che lo Zimbabwe non ha un abito tradizionale.

La cerimonia di disvelamento della statua ha però mostrato come la tradizione orale sia ancora forte: molti cittadini, riportano le cronache, hanno intonato canti di lotta e qualcuno sarebbe persino caduto in trance. “Il tentativo dei colonialisti di distruggere la storia della nazione non ha funzionato” ha tuonato dal palco Emmerson Mnangagwa in lingua Shona. Sul palco con lui c’era anche il decano del corpo diplomatico africano in Zimbabwe, l’ambasciatore della Repubblica Democratica del Congo Mwana Nanga, il quale ha invitato i giovani zimbabwani a “non dimenticare mai le vostre radici”. Il governo dello Zimbabwe ha in programma di disvelare altre statue di eroi ed eroine nazionali e la retorica adoperata dai vari esponenti governativi e politici del partito ZANU-PF si è concentrata molto sulla criminalizzazione del colonialismo, l’imperialismo e del neocolonialismo, anche con una terminologia spintamente populista.

(Andrea Spinelli Barrile)

Condividi

Altre letture correlate: