Camerun, Nigeria, diaspore: intervista al rapper Valsero

di Stefania Ragusa

Il vero nome è Gaston Philippe Abe Abe, ma in Camerun e altrove è conosciuto come Valsero. Questo rapper di fama internazionale, seguito da milioni di igovani africani, ha passato un anno in prigione, insieme con esponenti dell’opposizione al regime come Maurice Kamto, e l’avvocata Michèle Ndoki, ed è stato rilasciato un anno fa. Oggi vive in a Torino. Lo scrittore Emmanuel Edson, esponente della diaspora camerunese, lo ha intervistato.

Come ci si sente a essere privati della libertà per le proprie idee e com’è il dopo, quando si torna liberi ma lontani dal proprio Paese? «Non mi considero in esilio, prima del mio arresto avevo in programma di venire in Italia per ragione professionali. Sono qui dal 22 ottobre 2019. Non sono stato in prigione per avere commesso un delitto ma per la mia grande voglia di vivere, di lottare per quello che trovo giusto per me e mio popolo. Vivere quell’anno di interdizione accanto a un intellettuale come Maurice Kamto, e potermi confrontare con la sua visione del mondo e della vita, è stato un momento di ricco insegnamento. Detto questo, la prigione non è un campo di vacanza. La pressione psicologica è enorme. Se poi sei  detenuto per ragione politiche in un paese in cui la brutalità è legge si è praticamente sospesi tra la vita e la morte. La paura di essere avvelenati o di morire in una trappola mascherata da incidente è quotidiana.  Per nostra fortuna tanti prigionieri approvavano la nostra lotta e questo ci ha permesso di tenere su il morale».

In questi giorni si è combattuto anche in Nigeria. Davido e Wizkid, giovani artisti di fama internazionale, hanno lasciato Londra per essere accanto ai loro coetanei nella protesta. Cosa pensi di quello che sta accadendo? «Intanto voglio elogiare i nigeriani. Il semplice fatto cheda loro sia possibile manifestare mostra una grande differenza tra  Camerun e Nigeria. Davido e Wizkid hanno fatto bene a  rinforzare la protesta con la loro presenza. Le manifestazioni in Africa oggi possono avere degli elementi comuni, ma le motivazioni possono essere molto diverse. In Nigeria per esempio non era la presidenza a essere messa sotto accusa una precisa unità di polizia. In Camerun il problema nasce dalla presidenza e dalla forma dello stato. Ci sono poi delle grosse differenze tra Africa anglofona e francofona. Il rapporto con la Francia è e rimane un grosso nodo problematico. Eviterei poi di parlare di protesta giovanile, la contrapposizione non è così netta. I giovani si vedono di più nelle strade perché sono di più e perché sono quelli che soffrono maggiormente per certe politiche o per la loro assenza».

Undici anni fa usciva una tua canzona satirica diretta al cuore del potere, la “lettera al presidente”, un j’accuse potente che denunciava i sogni rubati della gioventù. Il 22 maggio questa canzone sarà celebrata allo Zenith di Parigi. Che effetto ti fa? «Ne sono felice, sia come artista sia come attivista. Vuole dire che la mia lotta attraverso le parole e la musica non è stata vana. Lo Zenith è un sogno per tutti gli artisti. Non vedo l’ora. Voglio dire però che prima di me altri artisti hanno denunciato attraverso le loro canzoni il presidente Paul Biya e il suo regime sanguinario. Penso a Eboa Lotin e Lapiro de Mbanga, pace alla loro anima. Il primo è stato frustato pubblicamente; il secondo ha fatto la prigione. Lapiro di Mbanga ha fatto la prigione. Per me non esistono artisti ma uomini impegnati. Un artista non è un alieno, fa parte del popolo e tocca anche lui la miseria con le mani. L’arte è il riflesso della società. Guardare dall’altra parte o fingere di non vedere le sofferenze è un limite che l’arte stessa sanziona».  

Il 22 settembre è stata una giornata molto difficile per il Camerun. I tentativi di manifestare sono sotati soffocati con violenze, arresti e ricatti. Maurice Kamto è stato messo a una sorta di arresto domiciliare ingiustificato e ingiustificabile. Che idea ti sei fatto? «Maurice Kamto contesta i brogli delle ultime elezioni presidenziali e la legittimità di Paul Biya. La lunga assenza di Biya dalla scena pubblica è di fatto un segnale che lui non c’è più. Si vede chiaramente che è la Francia a governare per mano del suo ambasciatore Christophe Guilou. Sul piano internazionale le notizie sul Camerun sono date dal ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian. Quello che è stato fatto a Kampto e ai suoi principali collaboratori rientra nel tentativo di isolarlo. Però non sta funzionando per via della guerra e perché c’è una parte del popolo camerunese che non gira la testa dall’altra parte. Il 24 ottobre sono morti 6 studenti in un attacco dentro una scuola a Kumba nel Noso. I separatisti accusano il governo di questo atto odioso e il governo accusa i separatisti, ma le persone sanno come stanno le cose».

Come si sta comportando la diaspora secondo te? Qui in Italia io vedo tanti giovani concentrati sul periodo della tratta e del colonialismo, ma poco propensi a interrogarsi sul presente africano e sul futuro. «Nei paesi occidentali alle diaspore  non si permette di vivere la vita che vorrebbero. Ci sono tantissimi problemi burocratici e pratici. In tenti pensano che tutte le soluzioni per l’Africa dovrebbero venire da loro, ma se non hanno nemmeno il tempo di fermarsi e pensare? Il pensiero è un lusso che spesso non ci si riesce a permettere. Per capire certe situazioni bisogna viverle. Da lontano è difficile. Non basta avere la pelle nera per essere africano. I giovani nati o cresciuti qui rivendicano giustamente la loro appartenenza alla società in cui si trovano. Parlare della schiavitù e del colonialismo gli serve per legittimare la loro presenza».  

(Emmanuel Edson)

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