Burkina Faso | “Contro il jihadismo armiamo i civili”

di Pier Maria Mazzola

In Burkina Faso, oltre al terrorismo regna anche la confusione. Il terrorismo jihadista sta mettendo in ginocchio il Paese e allora le autorità di Ouagadougou cosa fanno? Arruolano civili.

In un Paese dove la crisi umanitaria sta raggiungendo livelli insopportabili per la popolazione, il governo arruola civili anziché provvedere ai bisogni primari. Nel Global Humanitarian Overview che fissa i bisogni umanitari per il 2020, il Burkina scala posizioni con una richiesta di fondi in crescita del 58%, cinque volte di più dell’anno precedente, con 2,2 milioni di persone bisognose di aiuti, 500mila sfollati e un attentato al giorno. Anziché rispondere a queste esigenze, che potrebbero poi rappresentare il vero antidoto al radicamento del jihadismo, arma i civili. Con conseguenze che potrebbero essere ancora più devastanti del terrorismo. La denuncia arriva dall’ex corrispondente di Bbc Africa e attivista dei diritti umani, Louise Dewast, secondo la quale un disegno di legge approvato all’unanimità dal Parlamento del Burkina Faso e in attesa della firma del presidente Roch Marc Christian Kaboré prevede di armare i civili di età pari o superiore ai 18 anni, purché non appartenenti ad alcun gruppo o partito politico.

Secondo l’articolato, i «volontari» dovranno dimostrarsi «patriottici e leali» e avere «spirito di sacrificio», anche fino al «sacrificio finale». Se non fosse scritto in un testo di legge, sembrerebbe una beffa a danno di persone che già faticano ad arrivare a sera e di sacrifici ne fanno già molti. Il provvedimento, poi, spiega che la scelta degli “arruolabili” dipenderà dalle assemblee guidate dai capivillaggio con la supervisione dell’esercito. Ogni villaggio o comunità locale dovrà mettere “a disposizione” almeno dieci volontari.

La legge prevede ogni cosa: i volontari verranno sottoposti a 14 giorni di addestramento, solo dopo potranno ricevere armi e le attrezzature necessarie, ma niente uniforme. Quindi non riconoscibili. Inoltre, i malcapitati non percepiranno nessun compenso per la loro attività, solo i gruppi locali riceveranno il sostegno finanziario necessario per le attività o le missioni che andranno a svolgere. Ai volontari spetta, per diritto, l’assistenza medica in caso di infortunio, il risarcimento in caso di disabilità permanenti, oltre al pagamento dei funerali. Raccontata così sembra una fake news, ma il ministro della Difesa, Chériff Sy, oltre a difenderla la spiega insistendo sul fatto che le reclute non saranno utilizzate come carne da cannone. La supervisione, infatti, spetta al suo ministero.

La preoccupazione, tuttavia, è enorme. Milizie di civili armati, senza un riconoscimento preciso, alla diretta “dipendenza” delle comunità locali, potrebbero diventare un ulteriore elemento di destabilizzazione del Paese, intensificare i conflitti etnici e alimentare le tensioni tra pastori nomadi e comunità agricole, già in lotta per il controllo delle terre. A danno si aggiunge danno.

Tutto ciò accade mentre oltre 3,3 milioni di persone hanno bisogno di assistenza immediata nel Sahel centrale. Un rapporto redatto da Cadre Harmonisé, Fao, Unicef e Pam spiega che nel Burkina Faso, dove gli sfollati interni sono sei volte superiori rispetto al gennaio 2019, la situazione è ancor più allarmante che altrove. «Stiamo assistendo a un aumento impressionante del numero di persone a rischio fame nel Sahel centrale — ha spiegato Chris Nikoi, direttore regionale del Pam in Africa occidentale e centrale –. Questo numero è raddoppiato dopo il raccolto, quando avrebbe dovuto scendere: se non agiamo ora, un’intera generazione sarà messa a rischio».  Secondo gli esperti, inoltre, proprio per i cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo questa regione, la transumanza è iniziata in anticipo, compromettendo altre aree considerate sicure, dove una maggiore concentrazione di animali potrebbe provocare nuove dispute tra gruppi di pastori e comunità agricole locali. E il governo di Ouagadougou che fa? Arma i civili.

(Angelo Ravasi)

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