2020, si riparte dal Nobel

di Enrico Casale
nobel

Il 2019 sarà ricordato come l’anno di Abiy Ahmed. Non tanto e non solo perché al premier etiope è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace, un riconoscimento importantissimo, ma che non racconta tutto del ruolo che questo giovane politico (ha 43 anni) sta svolgendo non solo per il sui Paese ma per tutto il continente. Abiy ha saputo sgretolare decenni di diffidenze, odii, conflitti per siglare nel 2018 la pace con l’Eritrea e ha avviato un lento, ma profondo, processo di democratizzazione del suo Paese. Tutto facile? Per nulla. Una nazione complessa come l’Etiopia ha risposto con rivendicazioni separatiste e con tensioni etniche. Il rischio è l’implosione. Un rischio grande al quale però Abiy non ha finora risposto con la repressione, ma con maggiori aperture e una mano tesa al dialogo.

Democrazia

Il volto di Abiy è quello di un’Africa nuova che si sta muovendo e sta lavorando per il cambiamento. E qui balzano subito agli occhi i profondi sconvolgimenti politici in atto in Algeria e in Sudan. Entrambi i Paesi hanno saputo liberarsi dai due despoti (Abdelaziz Bouteflika e Omar al-Bashir) che per decenni li hanno governati. Uomini, donne, ragazzi, anziani sono scesi in strada e, pacificamente, hanno chiesto cambiamenti profondi nella gestione politica e amministrativa. Si sono battuti per una maggiore trasparenza, una più equa distribuzione delle risorse pubbliche, contro la corruzione, il malgoverno. In Sudan hanno ottenuto una fase di transizione nella quale i civili governeranno insieme ai militari in vista di elezioni democratiche. Un passaggio che non dà per scontato il raggiungimento della meta, ma che ha segnato una svolta nella politica nazionale. In Algeria, hirak (come si è battezzato il movimento di protesta) manifesta da mesi e, nonostante le elezioni abbiamo portato al potere un nuovo presidente della Repubblica, continua a scendere in strada. Pacificamente, chiede un profondo rinnovamento della classe politica che sappia dare riposte concrete a disoccupazione e povertà diffuse. Una sfida che continuerà anche nel 2020.

Jihadismo

Etiopia, Algeria e Sudan rappresentano elementi di speranza per un continente che sta ancora combattendo un po’ ovunque contro i suoi demoni. Tra questi il jihadismo che sta stritolando in una morsa la regione saheliana soprattutto nella regione occidentale. Boko Haram e una galassia di gruppuscoli legati ai grandi network islamisti mescolano il loro messaggio parareligioso con i traffici illegali (droga, esseri umani, sigarette) e una violenza inaudita in un mix che sta mettendo a dura prova sia le forze dell’ordine locali sia le forze armate francesi corse in loro aiuto. Il jihadismo continua a sconvolgere anche la Somalia. È del 28 novembre l’attentato di al-Shabaab, milizia legata ad al-Qaeda, a Mogadiscio che ha fatto un centinaio di morti. E, proprio sull’esempio somalo, il fondamentalismo si stanno affermando anche in regioni un tempo ritenute immuni dalla violenza del fondamentalismo religioso si sta diffondendo in regioni un tempo ritenute immuni dall’integralismo religioso come il Mozambico, dove nell’area settentrionale imperversano i miliziani al-Shabaab facendo decine di morti, in gran parte civili, e nella Rd Congo, dove opera Adf, piccolo e violentissimo gruppo sul quale aleggia un’aura di mistero.

Tribalismo

Non vanno dimenticate anche le tensioni etniche e linguistiche, ancora presenti in molte parti dell’Africa. Dimenticata, ma non per questo meno grave, la crisi delle province anglofone del Camerun. Le rivendicazioni di questa minoranza di lingua inglese hanno scosso nel profondo le fondamenta di uno Stato, il Camerun appunto, ritenuto tra i più stabili del continente. Oppure le tensioni ricorrenti tra i pastori peul e gli agricoltori dogon in Mali e nei Paesi confinanti.

Ambiente

Il 2019 lascerà in eredità al 2020 anche la fragilità dell’Africa sotto il profilo ambientale e umanitario. I profondi cambiamenti climatici hanno provocato fenomeni climatici devastanti. Come il ciclone Idai che ha sconvolto Mozambico, Madagascar, Malawi e Zimbabwe. Venti e inondazioni hanno causato più di mille vittime lasciando alle loro spalle povertà e desolazione. Il Corno d’Africa invece è stata colpita nuovamente da una terribile siccità. La Fao, agenzia Onu per l’alimentazione, ha lanciato l’allarme per una prossima, possibile invasione di locuste nella regione. Un male antico che rischia di mettere in ginocchio migliaia di agricoltori e, con essi, la popolazione. In futuro, fenomeni climatici come questi tenderanno ad aumentare i flussi migratori. Le organizzazioni internazionali calcolano che, entro il 2030, si prevedono 135 milioni di profughi climatici dovuti alla desertificazione dei terreni. Di questi, 60 milioni sono destinati a spostarsi dall’Africa subsahariana al Nord Africa e all’Europa. Flussi migratori che, a dispetto di una certa propaganda politica, non sono cessati, ma hanno cambiato solo direzione. Come dimostrano i sempre più frequenti incidenti sulle rotte che risalgono l’Africa occidentale per raggiungere la Spagna (giungendo alle Canarie o nelle enclave di Ceuta e Melilla).

Economia

I problemi ci sono, inutile negarlo. Ma l’Africa è un continente che cresce. Il Prodotto interno lordo (Pil) del continente dovrebbe toccare il 4% quest’anno, in crescita rispetto al 3,5% del 2018. Si tratta della più veloce espansione dal 2012. Questo fa dell’Africa il continente a crescita più rapida al mondo dopo l’Asia, nonostante il cattivo andamento di Nigeria e Sudafrica, che costituiscono quasi la metà del Pil continentale, abbiano rallentato la crescita media. La crescita economica del continente sarà ancora una volta guidata dall’Africa orientale, la regione in più rapida espansione per il quinto anno consecutivo. Etiopia, Kenya, Rwanda e Tanzania sono tutti presenti nell’elenco delle 10 economie a crescita più rapida per il 2019. Un contributo importante arriva anche dall’Egitto, la più grande economia dopo Nigeria e Sudafrica, il cui rendimento è aumentato di circa il 5,5%, grazie a riforme strutturali che attirano investimenti. Economie che producono ricchezza anche se non sempre riescono a redistribuirla. Come testimonia l’Ong Oxfam la cui classifica dei Paesi con maggiori diseguaglianze vede tra le dieci nazioni peggiori quattro Stati africani: Madagascar, Sierra Leone, Ciad, e Nigeria.

Di fronte a queste  sfide le parole pronunciate da papa Francesco in Mozambico, nel corso della sua visita in settembre, possono diventare la strada maestra per un futuro migliore del continente: «Non siano l’odio e la violenza ad avere l’ultima parola». Poi, rivolgendosi agli africani e stimolandoli a diventare protagonisti del loro sviluppo il pontefice ha affermato: «Non smettete di impegnarvi finché ci saranno bambini e adolescenti senza istruzione, famiglie senza casa, lavoratori senza occupazione, contadini senza terra. Queste sono le basi di un futuro di speranza».

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