Due anni fa, Boko Haram rapiva le ragazze di Chibok

di Enrico Casale
Michelle Obama bringbackourgirls

Michelle Obama bringbackourgirlsSono trascorsi due anni dal rapimento delle liceali a Chibok nel Nord-Est della Nigeria da parte di Boko Haram. Le 219 studentesse sono state prelevate dal liceo in cui studiavano. Di loro si sa pochissimo. Alcune sono vive. A dimostralo, un video mostrato ad alcuni familiari e ai negoziatori che stanno trattando per il loro rilascio. Altre, secondo l’Onu, sono state impiegate negli attacchi suicidi. Ma complessivamente sono state trattate come schiave: drogate, violentate, impiegate per fare i lavori più umili.

Nei giorni successivi al rapimento era stata lanciata una campagna mondiale per far pressione sui leader islamici e far liberare le giovani. Centinaia di politici, imprenditori, uomini e donne dello spettacolo avevano innalzato i cartelli con la scritta #bringbackourgirls. Non è valso a nulla.

«Quando un gruppo estremista – spiega Toby Lanzer, Coordinatore delle attività Umanitarie delle Nazioni Unite nel Sahel – violenta bambine di 7 anni e le costringe ad andare in un mercato con una bomba addosso e farsi saltare in aria… Voglio dire, è l’essenza stessa del male, non riesco ad immaginare qualcosa di più atroce. Nel Nord del Camerun ci sono stati 63 attentati suicidi in un mese, il mese di gennaio, quest’anno. E più della metà di questi kamikaze erano donne e ragazzine».

Il caso delle 219 ragazze non è rimasto isolato. Da allora Boko Haram ha continuato a rapire giovani. Solo nell’ultimo quadrimestre del 2014 sono state rapite più di 400 giovani sia in Nigeria sia nei Paesi confinanti. Perché rapire ragazze? Innanzi tutto perché sono più facili da indottrinare. Un altro vantaggio: le comunità sono meno diffidenti nei confronti dei bambini. Manuel Fontaine, direttore regionale Unicef per l’Africa occidentale e centrale, ha così raccontato a Radio France Internationale l’attacco suicida a Baga Sola in Ciad, compiuto da una ragazza nel 2015: «Una ragazza è arrivata chiedendo acqua, che le è stata data. Ovviamente, quando una ragazza viene e chiede un po’ d’acqua, nessuno gliela nega e spesso la si invita anche in casa. Così è avvenuto. Ma, una volta entrata, si è fatta esplodere. Ha ucciso quasi tutta una famiglia, a eccezione di un bambino e una o due altre persone».

Questi bambini a volte agiscono sotto costrizione. «In alcuni casi, i bambini attivano loro la carica, in altri, la carica viene attivata a distanza da qualcun altro. Ma in tutti i casi, questi bambini sono vittime della situazione».

Sul fronte della lotta a Boko Haram, il governo nigeriano è ottimista. Il movimento jihadista ha perso infatti il controllo delle principali città del Paese. Nell’estate del 2014, i ribelli del gruppo jihadista avevano proclamato un califfato in Gwoza. Ora, l’esercito di Abuja afferma di aver liberato le principali città degli Stati di Adamawa, Borno e Yobe.

«Quando il presidente è entrato in carica nel 2015, non meno di 14 comunità locali erano nelle mani dei Boko Haram. Gli insorti avevano proclamato il califfato e controllavano totalmente quei luoghi. Oggi, non controllano più alcuna comunità. Questo dimostra che le forze armate hanno veramente agito in modo efficace», ha spiegato  Femi Adesina, uno dei consiglietri del Presidente Muhammadu Buhari.

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, una certa pressione militare è reale. Ma il problema che rimarrà, anche dopo una sconfitta sul campo di Boko Haram, è la ricostruzione morale e fisica dei territori sconvolti dalla milizia jihadista.

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