di Andrea Spinelli Barrile
Quella di Donald Trump sulla Nigeria è solo “una tattica negoziale”, ma con un fondo di verità. È questa, per ora, la posizione ufficiale del governo nigeriano sul post pubblicato venerdì da Trump su Truth, in cui paventa la possibilità concreta di un’invasione americana della Nigeria per salvaguardare “i nostri cristiani”, che verrebbero continuamente ammazzati nel Paese africano per motivi religiosi.
Il consigliere del presidente nigeriano Bola Tinubu, Daniel Bwala, ha contestato la descrizione di Trump secondo cui i cristiani sarebbero un gruppo preso di mira in modo specifico. Ha detto di interpretare le minacce dell’ex presidente come una tattica negoziale, aggiungendo che accoglierebbe con favore una maggiore condivisione di informazioni di intelligence da parte degli Stati Uniti, specificando di apprezzare la preoccupazione di Trump per la sicurezza nel Paese africano.
Proprio in materia di sicurezza, i problemi in Nigeria sono numerosi e complessi. “La lotta al terrorismo è una preoccupazione per il mondo: questa è la nostra prospettiva”, ha detto Bwala, chiarendo che “non ci aspettiamo un’azione militare statunitense in Nigeria, ma crediamo che i due leader potrebbero unirsi per raggiungere un’intesa comune”.
Giovedì, in effetti, Tinubu e Trump potrebbero incontrarsi a Washington: un’occasione importante per l’amministrazione nigeriana per dare un po’ di contesto alle affermazioni incendiarie di Trump. La Nigeria è un Paese eterogeneo e multietnico di oltre 230 milioni di abitanti, con una popolazione divisa approssimativamente tra musulmani e cristiani: alcuni sondaggi mostrano una ripartizione quasi equa, altri la indicano più vicina al 45% di cristiani e al 55% di musulmani. La violenza nel Paese ha avuto, nel corso degli anni, un impatto diffuso su tutti i nigeriani, indipendentemente dalla religione, e proprio questo dato di realtà ha spinto molti cittadini a commentare le dichiarazioni di Trump, quasi nessuno con favore.

Anche diverse associazioni della diaspora nigeriana, citate da Premium Times, si sono attivate scrivendo al presidente Tinubu per chiedergli di adottare misure diplomatiche e politiche decisive in risposta a quella che definiscono una minaccia di azione militare “sconsiderata e senza precedenti” da parte di Trump. Anche in questo caso, tuttavia, le parole dell’ex presidente vengono interpretate più come una tattica negoziale che come una reale minaccia.
Secondo Baba Adam, a capo di un’importante organizzazione della diaspora nigeriana negli Stati Uniti, le dichiarazioni di Trump fanno parte di un pacchetto di nuove politiche americane contro la Nigeria: le restrizioni sui visti, la designazione del Paese come “di particolare preoccupazione per la sicurezza” e ora la “minaccia palese di invasione” sarebbero tutte “cannonate” all’interno di una campagna più ampia per “indebolire l’ascesa della Nigeria” sul piano economico e politico internazionale. Il rifiuto di Abuja di accettare espulsi dagli Stati Uniti, il suo impegno con i Brics e le riforme economiche in corso — come l’eliminazione dei sussidi al carburante e l’avvio della raffineria di Dangote — avrebbero destabilizzato “alcuni attori globali”, tra cui gli Stati Uniti. “Se il governo americano è sinceramente preoccupato per l’insicurezza in Nigeria, dovrebbe condividere informazioni utili su banditismo e terrorismo. Ciò di cui abbiamo bisogno è collaborazione, non provocazione, e l’accesso alle armi e alle attrezzature necessarie per proteggere il nostro territorio”, ha aggiunto Adam.
Le parole di Trump, inoltre, non arrivano come un fulmine a ciel sereno: nelle ultime settimane diversi politici statunitensi di spicco hanno chiesto maggiore attenzione alle uccisioni di cristiani in Nigeria. Il senatore repubblicano del Texas Ted Cruz ha accusato apertamente, con un post su X, i funzionari nigeriani di “ignorare e persino facilitare l’omicidio di massa di cristiani da parte di jihadisti islamisti” e ha presentato un disegno di legge per “colpire questi funzionari con sanzioni e altri strumenti”.
La decisione di Trump di inserire la Nigeria tra i Paesi di particolare preoccupazione per Washington è stata promossa proprio da Cruz. Un fatto che, se da un lato apre la strada a sanzioni punitive, dall’altro non ne rende obbligatoria l’imposizione. Bisogna distinguere tra parole e fatti, ma anche tra la realtà sul campo e la politica.
Dodici governatori del nord della Nigeria, numerosi sovrani tradizionali e magistrati sono ora al centro di una possibile tempesta diplomatica tra Abuja e Washington. Il Congresso americano sta esaminando un disegno di legge che potrebbe imporre loro sanzioni di vasta portata per presunta complicità in quello che alcuni legislatori statunitensi descrivono come un “genocidio cristiano” e una persecuzione sistemica ai sensi delle leggi nigeriane sulla sharia e sulla blasfemia.

Il Nigeria Religious Freedom Accountability Act del 2025, promosso da Ted Cruz, designa la Nigeria come “Paese di particolare preoccupazione” per la persecuzione religiosa. In base al testo, presentato il 9 settembre 2025, il segretario di Stato americano, entro 90 giorni dall’approvazione, dovrà presentare al Congresso un rapporto con l’elenco dei funzionari nigeriani — tra cui governatori, giudici e monarchi — che hanno “promosso, promulgato o mantenuto leggi sulla blasfemia” o “tollerato la violenza da parte di attori non statali che invocano giustificazioni religiose”.
Tutti gli osservatori politici e i commentatori nigeriani hanno stigmatizzato e condannato le parole di Trump. Shehu Sani, ex senatore e attivista per i diritti umani, ha dichiarato al Washington Post che un’azione militare americana “innescherebbe una crisi religiosa ed etnica in Nigeria”, dove la responsabilità della sicurezza è politica e l’amministrazione attuale sta cercando di cambiare rotta. Malik Samuel, ricercatore senior presso Good Governance Africa, che studia Boko Haram da oltre un decennio, ha affermato che cristiani e musulmani vengono uccisi a causa della persistente insicurezza e non di campagne d’odio specifiche, negando dunque l’esistenza di un piano mirato per uccidere i cristiani.
Il governo federale nigeriano, inoltre, ha difeso il quadro costituzionale e legale del Paese in materia di libertà religiosa, insistendo sul fatto che la Nigeria non applica leggi sulla blasfemia a livello nazionale né perseguita i cristiani, come affermato nella proposta di legge statunitense. Secondo Abuja, i sistemi costituzionali e giudiziari del Paese tutelano pienamente la libertà di religione e di coscienza, sottoponendo tutte le leggi statali e locali, comprese quelle sulla sharia, alle garanzie costituzionali e alla revisione d’appello laica.
Basta aprire i giornali nigeriani: nelle comunità del nord del Paese, le più colpite dalla violenza di gruppi estremisti jihadisti come Boko Haram o la Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico (Iswap), la maggioranza delle vittime è musulmana, perché la popolazione della regione è prevalentemente musulmana. Lo stesso vale per le vittime del banditismo nel nord-ovest.

Al contrario, nel conflitto tra agricoltori e pastori nella Nigeria centrale, le vittime cristiane sono più numerose, perché la componente cristiana domina le comunità agricole. Ma, al di là delle dichiarazioni, i fatti mostrano che, anche se i comunicati di Boko Haram e Iswap parlano di “campagne anticristiane”, la maggior parte delle loro vittime è musulmana: una violenza indiscriminata che devasta intere comunità.
La violenza in Nigeria è alimentata da un intreccio di risentimenti storici, tensioni etniche, disparità economiche, estremismo religioso e debole governance. I gruppi estremisti ideologici, come Boko Haram, attaccano religiosi, rapiscono civili e saccheggiano villaggi indipendentemente dalla fede delle vittime. In questo senso, parlare di “genocidio dei cristiani” in Nigeria equivale a evocare il “genocidio dei bianchi” in Sudafrica: un’invenzione utile a giustificare qualcos’altro. La narrazione di una guerra di religione tra musulmani e cristiani è semplicistica e ignora le complesse dinamiche interne del Paese, dove nel corso dei decenni sia la comunità musulmana sia quella cristiana hanno talvolta parlato di “genocidio” durante le crisi.
In realtà, i conflitti nigeriani sono multiformi, alimentati da rivalità etniche, dispute territoriali e criminalità, con la religione spesso in secondo piano. In ogni regione del Paese convivono cristiani e musulmani, e i conflitti si sviluppano tipicamente lungo linee comunitarie o regionali più che religiose. Sebbene i cristiani abbiano subito attacchi orribili, gli episodi di violenza esplicitamente religiosa rappresentano solo una frazione degli omicidi in Nigeria, e gli scontri interreligiosi diretti sono relativamente rari.


