Sudan: oggi è il secondo anniversario della strage di Khartoum

di Valentina Milani

Il Sudan ricorda oggi la strage perpetrata il 3 giugno 2019 dalle forze di sicurezza contro i manifestanti civili che protestavano contro la giunta militare. A terra rimasero 127 cadaveri, anche se non si è mai saputo con certezza quanti furono i morti.

Tutto era iniziato nel dicembre 2018, quando i cittadini sudanesi avevano lanciato un movimento di protesta pacifico contro il regime di Omar al-Bashir. Nonostante la cacciata del presidente nell’aprile 2019, in Sudan si era insediata una giunta militare. Proprio per protestare contro questa giunta e chiedere una transizione democratica, migliaia di manifestanti si erano riuniti davanti alla sede delle forze armate a Khartoum il 3 giugno 2019. La manifestazione è stata attaccata dalle forze di sicurezza che hanno represso duramente la protesta.

Il clamore suscitato da quei morti ha poi portato in agosto alla formazione di un governo di transizione misto con leader civili e rappresentanti militari formarono con il compito di preparare il Paese alle elezioni.

“Sono passati quasi due anni da quando il primo ministro Abdalla Hamdok ha formato la commissione d’inchiesta sul massacro del 3 giugno – spiega Jon Temin, direttore dei programmi per l’Africa presso Freedom House, Ong impegnata nella difesa dei diritti umani e civili -, eppure non sono stati presi provvedimenti definitivi per perseguire i responsabili di omicidio o violenza sessuale e di genere. Esortiamo il governo di transizione a perseguire i responsabili di questi orrendi crimini contro manifestanti civili pacifici”.

Attacchi che, secondo la stessa Freedom House, continuano. “In questo triste anniversario, condanniamo fermamente il recente aumento degli attacchi contro i leader della società civile e i civili, comprese le sparizioni forzate, la tortura di attivisti e gli attacchi organizzati contro le persone nei campi per sfollati interni – ha affermato Ali Eltayeb, Sudan di Freedom House direttore del progetto -. Sia nel rendere conto del massacro del 3 giugno sia nel rispondere alle rinnovate minacce alle libertà, i leader devono affrontare la diffusa impunità e il debole stato di diritto che affliggono da tempo il Sudan”.

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