Sudan: appelli e petizioni per un imprenditore italiano detenuto a Khartoum

di Valentina Milani

Petizioni online e appelli si stanno moltiplicando negli ultimi giorni a favore di Marco Zennaro, imprenditore veneziano detenuto da oltre due mesi a Khartoum, in Sudan. A muoversi quotidianamente è anche l’Ambasciata italiana a Khartoum che, riferisce una nota di qualche giorno fa, ha seguito fin dal primo momento la vicenda  in stretto accordo con la Farnesina.

Zennaro, imprenditore veneto di 46 anni, è in stato di fermo per una controversa accusa di truffa ai danni di ditte sudanesi.

Sul piano politico e giudiziario, l’Ambasciata italiana a Khartoum è intervenuta ufficialmente presso le Autorità politiche e istituzionali del Sudan, incluso l’Ufficio del Primo Ministro e della Ministra degli Esteri, chiedendo con forza il pieno rispetto dei diritti del connazionale in termini di condizioni sanitarie, di sicurezza e di protezione e una soluzione del caso in tempi brevi. Del caso si è interessata anche la vice ministra degli Esteri Marina Sereni che ha avuto un colloquio telefonico con il sottosegretario agli Esteri sudanese interamente centrato su questo caso. 

“Marco Zennaro è detenuto da oltre 50 giorni in carcere in Sudan, in condizioni disumane” ha scritto in un tweet il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. “Deve essere immediatamente rilasciato! Una situazione inaccettabile per cui chiedo un intervento immediato di Luigi Di Maio”.

Secondo le ricostruzioni fatte da diversi media italiani, Marco Zennaro, ingegnere elettrico per l’azienda di famiglia Zennaro Electrical Constructions con sede a Marghera, si era recato a Khartoum nell’ambito della vendita di una partita di trasformatori destinati a un’azienda sudanese.

L’azienda di Marghera – racconta il quotidiano Avvenire – aveva concluso un contratto in Sudan, che però era stato revocato per una presunta non conformità dei prodotti. Una volta arrivato a Khartoum, Zennaro si era accorto di una serie di irregolarità negli accertamenti sui trasformatori, che erano stati svolti da un’azienda concorrente. A metà marzo, accusato di frode, Zennaro viene trattenuto in albergo, dove raggiunge un accordo per il rilascio: il pagamento di 400 mila euro in cambio della rimozione del mandato d’arresto chiesto dal distributore Ayman Gallabi. Quindi il primo aprile, una volta in aeroporto, arriva il secondo arresto, questa volta per mano di uomini riconducibili a un importante capo milizie. 

«Contro Marco c’è un’accusa di frode ma da un soggetto terzo con cui mio fratello non ha mai avuto a che fare – ha detto ad Avvenire Alvise Zennaro –. La compagnia sudanese Sedec aveva un contratto con il distributore Gallabi, colui che aveva acquistato la partita di trasformatori dall’azienda Zennaro. Ma i finanziatori di Gallabi sono miliziani, accanitisi su mio fratello». Gallabi è stato poi trovato morto in circostanze misteriose il 18 maggio. Intanto Marco Zennaro è ancora in carcere, trattenuto insieme ad altri detenuti in celle che ospitano anche trenta persone: “Vorrei fare un appello al ministero degli Esteri, perché la questione venga presa con la massima serietà e priorità – ha detto ancora ad Avvenire Alvise Zennaro –. Mio fratello Marco è psicologicamente forte, ma non è facile stare in prigione così a lungo in condizioni terribili. I detenuti a Khartum non hanno l’ora d’aria, un letto o un materasso su cui dormire».

Intervenendo sulla vicenda , il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia ha detto di essere in costante contatto con il ministro Di Maio: «Abbiamo attivato tutte le forze in campo, anche a livello locale, per chiudere questa partita e portare a casa Zennaro».

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