Somalia – Il punto sulla situazione del calcio

di AFRICA
Somalia-nazionale

È ancora presto per gridarlo ad alta voce, ma il calcio in Somalia sembra pronto per riaffacciarsi alla ribalta mondiale. Lo scorso 16 Febbraio, a Mogadiscio, il Paese è tornato a respirare aria di calcio internazionale. In una gara amichevole, infatti, la nazionale under 20 ha ospitato l’Eritrea.

Nel percorso intrapreso dalla federazione somala già da qualche anno, questo rappresenta un altro passo in avanti verso la normalità. Nel 2017, al Banadir Stadium di Mogadiscio, utilizzato negli ultimi anni come base dalle forze di pace dell’Unione Africana (AMISOM), si era tornata a giocare una gara di calcio dopo tre decadi di digiuno. Giocarla di notte, alla luce dei riflettori, è stata una scelta mirata, con una motivazione ben precisa: “Per dare un segnale forte, di ritorno alla normalità, abbiamo voluto giocarla di sera”, ha spiegato Hassan Wish, il presidente della Commissione organizzatrice di quel match, un incontro di una competizione giovanile a cui hanno partecipato circa 400 ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni.

In un paese come la Somalia, martoriato da anni di guerra civile e infestato negli ultimi tempi dall’intensificarsi di atti di terrorismo, gli stadi del resto hanno fatto sempre da termometro della turbolenta situazione politica e sociale del Paese. Spesso, infatti, gli impianti sportivi sono stati oggetto di attacchi di matrice terroristica o, in alcuni casi, veri e propri teatri di guerra e scenari di massacri indicibili.

Nel 1990, nel pieno dell’ondata di proteste anti-regime, allo stadio municipale di Mogadiscio si stava giocando una gara tra Jubba e Shabelle, quando il pubblico ha cominciato a fischiare e lanciare pietre all’indirizzo della tribuna vip, dove era presente il dittatore Siad Barre, provocando la sanguinaria repressione della guardia presidenziale. I berretti rossi, com’erano conosciuti i temutissimi soldati fedeli al dittatore, non si sono fatti scrupoli a sparare indiscriminatamente raffiche di mitragliatrice sulla folla ribelle. È stata una mattanza: alla fine, secondo fonti vicine all’opposizione, si sono contati circa ottanta morti e trecento feriti.

Gli accadimenti degli ultimi trent’anni hanno portato la Somalia, l’antico oggetto del desiderio degli appetiti coloniali di Gran Bretagna, Francia e Italia, a trasformarsi in un inferno a cielo aperto. È come se tutti i mali del mondo avessero trovato dimora in questa parte particolarmente strategica del Corno d’Africa, il primitivo gancio tra il mondo occidentale e quello orientale. La terra dove molti storici credono si sia sviluppata la leggendaria civiltà del Paese di Hunt, insomma, ha visto un po’ di tutto: un’interminabile e cruento conflitto civile, condito dalle barbarie di un manipolo di signori della guerra; gli innumerevoli e quasi sempre falliti tentativi dell’ONU di dare vita ad un governo centrale forte, e infine la preoccupante apparizione del terrorismo di matrice islamista.

Eppure, nonostante l’instabilità politica di uno Stato a lungo definito come “fallito”,e il divieto di giocare a calcio ispirato da una rigida interpretazione della shari’a e introdotto nel periodo delle Corti Islamiche, il calcio in Somalia è andato avanti, anche se la FIFA ha obbligato la nazionale a giocare all’estero per ragioni di sicurezza. In crescita, nonostante tutto, sembra essere pure il campionato, disputato a partire dall’indipendenza, quando di fatto sono state unificate la Somalia italiana e quella britannica (l’attuale Somaliland), ma ampiamente riformato nel 2010 con l’avvento della Somali Premier League. Il nuovo format non solo ha regalato nuova linfa e appeal al torneo somalo, portando maggiore competitività, ma soprattutto ha agito da calamita, attirando sponsor e finanziamenti esterni.

Tra il 2013 e il 2015, ad esempio, il torneo è stato sponsorizzato da NationLink Telecom, un’importante azienda di telecomunicazioni, ma il cambio di marcia impresso negli ultimi anni dalla Somali Premier League sarebbe figlio della vendita dei diritti TV del torneo a diversi canali sportivi, tra cui Gool FM, Universal TV, oltre a SNTV, l’emittente nazionale somala. Ne è certo Hussein Hadafow, giornalista del portale somalo GoobJoog: “Aumentare la televisizzazione delle partite è stata in sostanza la ragione principale per cui il torneo è cresciuto”.

Inoltre, Dekedda, Banadir e Jeenyo United, alcune tra le squadre più blasonate del Paese, possono contare su sponsorship di un certo rilievo, una cosa impensabile solamente qualche anno fa, a testimonianza del rinnovato grado di attrattività del torneo. Il Dekedda, campione delle ultime due edizioni, era sponsorizzato fino a poco fa da Albeyrak, una società di import/export con sede a Mogadiscio; il Banadir, che con l’Elman gioca il caratteristico derby della capitale, ha stipulato nel 2014 un accordo pluriennale con Hass Petroleum, un colosso dell’energia keniota, mentre sulle maglie Jeenyo United, la squadra anticamente legata al Ministero dei Lavori Pubblici e una delle dominatrici degli anni Settanta, fa bella mostra di sé il logo della Shamo Plast, una società specializzata nel settore delle tuberie con sede negli Emirati Arabi Uniti.

Ultimamente il governo, appoggiato dall’ONU e fiancheggiato dalle forze dell’Unione Africana nella lotta al terrorismo, sembra aver ritrovato una parvenza di stabilità, costringendo molte formazioni terroristiche alla ritirata da alcuni distretti strategici. Non a caso, grazie a un riscoperto senso di sicurezza generale, negli ultimi anni è sbarcata in Somalia una pattuglia di giocatori stranieri, dal curriculum più o meno prestigioso: “Più di 20 giocatori stranieri stanno giocando in 6 club della nostra Premier League”, raccontava orgoglioso tre anni fa il presidente Arab alla BBC.

Il calcio in Somalia, insomma, è stata una delle poche cose a non essere state interrotte durante la guerra, anche se in alcune città e distretti è stato impossibile organizzare partite. Lo sport non si è fatto schiacciare dal peso di una storia particolarmente inclemente, ma ha rivestito un ruolo cruciale per cambiarla, favorendo in un certo senso il processo di pacificazione e riunificazione nazionale. E potrebbe esserlo ancora.

Qualche anno fa, Abdiqani Said Arab, il visionario presidente federale, ha lanciato un’offerta ai miliziani di Al Shabaab, la formazione terroristica responsabile di alcuni dei più spaventosi attentati avvenuti recentemente in Africa Orientale, proponendogli di abbandonare le armi, allestire una squadra e iscriversi al campionato nazionale: “Noi non siamo contro di loro e loro non sono contro di noi”, ha confidato convinto. Il segretario generale Mohyaddin Abokar, poi, ha esteso l’invito: “Non solo Al Shabaab, ma anche coloro che combattono per i signori della guerra, gli islamisti moderati o chiunque altro coinvolto nel conflitto in Somalia sono benvenuti nel nostro calcio”. Perché, spiega: “Se mostrano interesse per giocare a calcio, significa che hanno accettato la pace e il calcio è tutto basato sulla pace e l’integrazione. Quindi stiamo dando il benvenuto a chiunque abbracci la pace e voglia giocare a calcio”.

Il cammino verso la normalità è appena cominciato e ci sarà da rimboccarsi le maniche nei prossimi anni, ma a Mogadiscio nessuno ha l’intenzione di adagiarsi sugli allori. Il prossimo obiettivo, sbandierato dalla federazione, è quello di ospitare entro tempi brevi la CECAFA Cup, la Coppa dell’Africa Centro-Orientale. Serve, infatti, dare uno scossone alla nazionale. Le Ocean Stars sono costrette da anni a disputare le gare casalinghe al di fuori dei confini nazionali e galleggiano nei bassifondi del ranking FIFA, tra il posto numero 204 e il 207, mentre nel 1995 avevano toccato il loro punto più alto, approdando alla posizione 158. La scalata tanto attesa può partire proprio dalla CECAFA CUP casalinga: “Ce la faremo”, ha assicurato il presidente federale Abdiqani Said Arab.

(Vincenzo Lacerenza – www.calcioafricano.com)

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