Marocco, Primavera berbera?

di Enrico Casale
dimostrante berbera

Il Rif è in rivolta. La regione settentrionale, di cultura berbera, è scesa in strada per protestare contro il Governo centrale considerato oppressivo, corrotto e incapace di portare sviluppo e crescita.

Il Rif non è una regione qualsiasi. Da sempre è inquieta, insofferente e aspira alla propria autonomia. Già nel 1921 il territorio si è dichiarato indipendente e repubblicano e si è ribellato agli spagnoli. Solo un’azione militare congiunta di Francia e Spagna è poi riuscita a riportare la zona sotto il controllo coloniale. Anche l’indipendenza nel 1958 non ha soddisfatto appieno i riffani perché imponeva loro un potere nazionale francofono, arabofono e centralista, che nulla aveva a che vedere con la gente del posto montanara, di etnia berbera e ispanofona di seconda lingua.

Ancora nel 1984, la gente è scesa in strada nelle cosiddette «rivolte del pane», in cui si protestava contro le politiche neoliberiste e gli aggiustamenti strutturali di Hassan II. Sul terreno sono rimaste 14 vittime, ma probabilmente sono state molte di più.

E oggi la gente del Rif è tornata a protestare. Il pretesto è stata l’uccisione di Mohcine Fikri, un pescatore eliminato brutalmente dalla polizia mentre cercava di recuperare il pesce spada che gli era appena stato sequestrato.  Il re in persona si è affrettato a chiedere all’allora ministro degli Interni, Mohamed Hassad, di aprire un’indagine. L’inchiesta ha portato il 1° novembre all’accusa di omicidio colposo per undici persone.

Ma non è bastato. Manifestazioni di protesta hanno accompagnato i funerali di Mohcine Fikri. Le bandiere amazigh (berbere) hanno sostituito quelle marocchine. Complici i social, Facebook e Twitter soprattutto, è iniziato a circolare il video di quello che è accaduto a Fikri, facendo diventare la storia, un ennesimo episodio di ordinaria ingiustizia. Sette degli undici accusati sono stati condannati il 24 maggio con pene che vanno dai cinque mesi agli otto anni di prigione. Gli altri sono stati rilasciati.

Le proteste non si sono fermate. I manifestanti chiedono giustizia per il povero pescatore, ma anche riforme economiche e sociali, la fine della marginalizzazione economica della regione come strumento di repressione politica, la creazione di posti di lavoro attraverso la valorizzazione e strutturazione del settore della pesca, la costruzione di infrastrutture stradali, ospedaliere e scolastiche nella regione, il rilascio dei prigionieri politici, la fine della militarizzazione dell’area.

Emerge la figura di Nasser Zefzafi. Ha 39 anni, aggiustava telefonini prima di perdere il negozio al gioco e tornare a vivere in famiglia. Chiede il rispetto dell’identità del Rif, della fede islamica e maggiori diritti sociali. Viene arrestato per aver fatto irruzione alla preghiera del venerdì accusando l’imam di essere un venduto. Riesce a fuggire alla cattura lunedì 29, la polizia lo arresta insieme ad altri amici. L’accusa è «attentato alla sicurezza».

Il rischio è che la protesta non si fermi e si trasformi in una rivolta come quella scoppiata in Tunisia nel 2011. Una nuova Primavera araba. In questo caso, berbera.

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