Mario Giro | Sudan, generali contro

di Enrico Casale
Sudan

La giunta [militare] non parla con una sola voce. Resta da vedere chi la spunterà: nel mondo multipolare e confuso attuale c’è da aspettarsi di tutto

Il capo della giunta militare di transizione del Sudan, Abdel Fattah Burnhan, ha riaperto il dialogo con l’opposizione civile subito dopo il massacro di Khartoum operato dalle truppe speciali del suo vice, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto con il nomignolo di Hemedti. Una farsa? Piuttosto una lotta di potere.

Hemedti rappresenta ciò che sono divenuti i janjaweed: le truppe irregolari (e ora «speciali») che nel 2003 hanno fatto terra bruciata in Darfur per domare la resistenza della ribellione. Le forze rapide (Rsf) da lui comandate sono specializzate nel reprimere i civili. Cento i morti nella capitale, dopo mesi di manifestazioni pacifiche, distrutta la tendopoli dell’opposizione posta davanti alla sede dell’alto consiglio militare di transizione.

Il generale Dagalo non si dà per vinto e riapre le trattative, per ora senza risposte da parte della società civile, che non si fida più. Emergono due linee all’interno del potere sudanese: quella apparentemente più tollerante di Dagalo e quella durissima di Hemedti. Ciò che accadrà dipenderà dalla resa dei conti in seno all’apparato militare, che pare avvicinarsi.

È necessario rendersi conto che con gli anni, sotto la presidenza al-Bashir (lui stesso un militare), l’esercito sudanese ha cambiato pelle e natura. Non esistono più i reparti di una volta, modellati sullo schema inglese. Al loro posto sono sorte tante forze armate più simili a milizie distaccate le une dalle altre e dipendenti da vari ministeri o personaggi del regime, nate per esigenze diverse nel corso del tempo.

Molte di esse non sono composte da militari di carriera: come nel caso delle Rsf, si tratta di combattenti irregolari aggiunti all’apparto militare e quasi tutti utilizzati contro i civili a scopo repressivo. Il Sudan ha avuto e continua ad avere vari focolai di tensione: a est l’apparente sopito conflitto con i Beja; a sud la crisi con l’Splm North nel Blue Nile e Monti della Luna; in Darfur, a ovest, con i ribelli ma anche contro il Ciad. La crisi libica complica il quadro.

Il Sudan ha anche inviato truppe in Yemen a fianco di sauditi ed emiratini (pare che anche Hemedti vi si sia recato) e partecipa in vari conflitti d’area allo stesso modo. Tale anarchica articolazione delle forze armate permette a diversi generali di muoversi in modo autonomo e di cercare solidarietà esterne o internazionali in modo indipendente. Così la giunta non parla con una stessa voce. Resta da vedere chi la spunterà: nel mondo multipolare e confuso attuale c’è da aspettarsi di tutto.


mario giroMario Giro è docente di relazioni internazionali. Già viceministro degli Affari esteri e responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio. Esperto in mediazioni e facilitazioni nei conflitti armati, cooperazione internazionale e sviluppo, Africa, Medio Oriente e America Latina. Autore di vari saggi e collaboratore di numerose riviste, ha recentemente pubblicato per Mondadori La globalizzazione difficile.

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