L’Africa sulla Croisette, uno struggente docu-film tunisino

di claudia

di Annamaria Gallone

Alla 76° edizione del Festival di Cannes (16/27 maggio 2023), appena conclusa, l’Africa è stata degnamente rappresentata con ben 13 titoli nelle varie sezioni e inoltre per la prima volta due registe africane hanno fatto parte della giuria ufficiale: Rungano Nyoni dello Zimbabwe e Maryam Touzani del Marocco. La nostra esperta di cinema africano ci parla oggi di Les filles d’Olfa, il primo film tunisino in concorso a Cannes dal 1970.

Oggi vi parlo di una struggente docu fiction in competizione, Les filles d’Olfa, della tunisina Kaouther Ben Hania, già nota per le sue opere coraggiose come l’uomo che vendette la sua pelle. Primo film tunisino in concorso a Cannes dal 1970, Les Filles d’Olfa , testimonia la vivacità di un cinema che quest’anno festeggia i suoi cent’anni. 

La regista ripercorre un fatto di cronaca del suo Paese, quella di Olfa Hamrouni e delle sue quattro figlie, una notizia che ha fatto scalpore sui media in Tunisia per il suo triste simbolismo nella confusione post-rivoluzionaria del gelsomino: le due figlie maggiori di Olfa, Rahma e Ghofrane, sono fuggite di casa per unirsi a Daesh e vengono arrestate, sconvolgendo una famiglia unita e monoparentale, all’interno della Tunisia post-Ben Ali.

La regista non ha utilizzato la finzione, come d’abitudine accade, anticipando il contenuto con la scritta “tratto da una storia vera” ma ha voluto la stessa Olfa e le sue figlie minori, Eya e Tassir.  e per affiancare la madre ha scelto un’attrice (Hend Sabri),che la sostituisce nei passaggi più dolorosi del racconto e rappresenta un alter ego che si pone domande; e poi altre due attrici (Nour Karoui e Ichraq Matar) che interpretano le sorelle che non ci sono più, mentre un attore ricopre tutti i ruoli maschili. La stessa regista viene a sua volta convocata dagli interpreti più volte, nel fuori campo, che a lei si rivolgono quando le situazioni da affrontare si fanno troppo pesanti. Così facendo, Kaouther compie un miracolo. perché Olfa, Tayssif ed Eya non parlano al regista o alla macchina da presa, ma tra loro, responsabili di far emergere la verità dei fatti fin nei minimi dettagli intimi. 

Olfa è una donna semplice, viene da una famiglia povera di sole donne, abbandonate dal padre. Per difendersi e difenderle dalla violenza, ha preso le sembianze maschili, diventando l’uomo di casa, poi ha trovato un uomo che l’ha fatta a pezzi emozionalmente e fisicamente. A sua volta ha avuto quattro figlie, il marito l’ha lasciata e la donna ha trasmesso alle ragazze con un amore che diventa repressione, la violenza patriarcale che suo malgrado si porta dentro. Le quattro figlie sono bellissime e quindi, per la madre, costantemente in pericolo, poiché il corpo è di per stesso peccato, meglio negarlo, gli uomini sono predatori e traditori. Olfa incolpa le ragazze di aver fatto andar via il suo uomo, colui che fin da piccoline le aveva molestate e lei aveva chiuso un occhio. Ma le figlie sono giovanissime e adolescenti e si assoggettano con fatica alla disciplina assurda della madre che reprime con durezza loro naturali istinti e desideri. Le botte per i capelli blu della maggiore, per i primi baci coi coetanei o la musica heavy-metal, quell’adolescenza che stava esplodendo nella Tunisia della rivoluzione non può essere compresa da questa povera donna delle pulizie ancorata ai suoi dogmi.

Le sorelle si raccontano tra loro e ridono e piangono come se non ci fosse una camera a riprenderle ed emergono luci ed ombre e aperta è la ferita per le due sorelle grandi, fuggite appena adolescenti per unirsi allo «stato islamico», divenute combattenti, e poi arrestate. La madre non se ne dà pace. Kaouther Ben Hania coglie le motivazioni delle due ragazze nel loro approccio reazionario allo spirito democratico e laico della primavera che sta prendendo piede. È ai loro occhi un atto di ribellione. Dapprima indossano il niqab come segno di indisciplina e unificatore per la loro causa. Poi è la loro scomparsa per sempre dal nucleo familiare, pubblicizzata dalla televisione tunisina, e il matrimonio con un imam fondamentalista, che incidono nel marmo la loro adesione a Daesh.

Un percorso di dolore straziante, che la regista racconta senza pietismi, con una scelta voluta di spaesamento, una narrazione frammentaria, con sbalzi temporali e versioni contrastanti della madre e delle figlie.

Il miracolo compiuto da Kaouther con questo suo lavoro complesso è stato quello di aver aiutato la madre e le sue figlie a esprimere sé stesse e a testimoniare le tragedie che hanno vissuto davanti a alla macchina da presa, confrontandosi con la fragilità, le incertezze, i sensi di colpa, i legami che continuano a esistere nonostante tutto;per aiutare le donne a trovare un loro spazio e una loro rappresentazione.

E la regista  riassume in poche parole la triste essenza del film: “Pur odiando gli uomini, Olfa trasmette alle figlie una retrograda forma di patriarcato che le donne hanno dovuto assimilare per poter sopravvivere”.

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