L’Africa chiede un mondo senza atomica

di claudia

Venticinque anni fa 45 stati africani firmarono il Trattato di Pelindaba, per impedire che la corsa agli armamenti nucleari potesse mettere piede sul territorio africano. Ad oggi questo strumento giuridico continua ad essere di grande attualità, anche se non è ancora stato ratificato da tutti i Paesi del continente. La libertà dall’atomica conferisce all’Africa un ruolo significativo nel dibattito pubblico in materia di disarmo nucleare e su un futuro senza atomica a livello globale

di Francesco Pezzarossi

Il tema degli armamenti nucleari spesso tende ad essere trascurato dalla narrazione mediatica, ma la portata di alcuni avvenimenti lo riporta inevitabilmente al centro del dibattito pubblico. É successo lo scorso 15 settembre, quando è stata annunciata la creazione di un’alleanza militare denominata AUKUS. Con questo nuovo patto gli Stati Uniti ed il Regno Unito prevedono di collaborare al dispiegamento di sottomarini a propulsione nucleare da parte dell’Australia, in ottica di contenimento dell’influenza cinese nell’Indo-Pacifico. La mossa del blocco occidentale in Oceania non ha mancato di suscitare le ferme reazioni di numerosi attivisti ed accademici, che evidenziano una possibile violazione degli obblighi internazionali derivanti dal Trattato di non proliferazione (TNP). É doveroso chiedersi: come si posizionano i governi africani nello scenario nucleare internazionale?

Per rispondere a questo interrogativo bisogna anzitutto volgere lo sguardo alla storia di due Stati africani: l’Algeria ed il Sudafrica. La prima fu teatro del test nucleare Gerboise Bleue nel 1960 e di altre decine di esplosioni condotte dalle forze armate francesi nella regione desertica del Reggane nel corso degli anni Sessanta. Nel 2020 le autorità algerine hanno inviato tramite le Nazioni Unite una richiesta di indennizzo alla Francia affinché quest’ultima ripari i danni sanitari e ambientali delle radiazioni, ma il dossier rimane ancora irrisolto. Memore del suo passato coloniale, l’Algeria è oggi sostenitrice del principio di universalizzazione degli obblighi internazionali in materia di disarmo nucleare.

Per quanto riguarda il Sudafrica, si tratta dell’unico Stato al mondo che ha sviluppato una capacità nucleare a fini bellici per poi rinunciarvi nel 1989 ed aderire al TNP nel 1991 sotto le pressioni della comunità internazionale. Per questo motivo il caso sudafricano viene spesso citato come un successo diplomatico del regime di non proliferazione fondato sul TNP. Il programma nucleare autonomo che Pretoria aveva avviato sin dagli anni Settanta era motivato prevalentemente dall’orgoglio nazionale e dall’anticomunismo, che avevano spinto il governo di De Klerk a “sviluppare una limitata deterrenza nucleare”. Con la caduta della cortina di ferro venne meno la ragion d’essere del programma nucleare sudafricano e De Klerk, ammettendo che il Paese aveva posseduto fino a 6 bombe atomiche nel periodo tra il 1974 e il 1990, accettò l’adesione al TNP e le ispezioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA). Da quel momento in poi, ma soprattutto dopo la fine del regime di apartheid, il Sudafrica ha invertito nettamente la sua rotta, diventando uno dei più attivi pionieri del disarmo nucleare nella sua accezione universalistica.

L’impegno solenne a rendere il continente africano completamente e permanentemente libero dalle armi nucleari fu assunto dall’Algeria, dal Sudafrica e da altri 43 Stati africani con la firma del Trattato di Pelindaba nell’aprile 1996. Con quel trattato, che porta il nome del Centro di ricerca in cui era stato sviluppato il programma nucleare sudafricano, si istituì una zona libera da armi nucleari (ZLAN) in Africa. Venticinque anni dopo, il principale obiettivo di questo strumento giuridico continua ad essere di grande attualità: impedire che la corsa agli armamenti nucleari possa mettere piede sul territorio africano. In questo modo, il trattato assume una duplice valenza. Da un lato permette di stabilire in forma consensuale un limite alla militarizzazione del continente, dall’altro intende impedire il dirottamento delle risorse per lo sviluppo verso il comparto degli armamenti. Basti ricordare che gli investimenti globali in armamenti nucleari nel 2020 hanno toccato quota 72,6 miliardi di dollari, oltre tre volte la spesa necessaria per assicurare un’adeguata copertura vaccinale contro il Covid-19 nei Paesi in via di sviluppo (dati del Nuclear Weapon Spending Report 2020 e di COVAX). Attualmente sono tredici gli Stati africani che non hanno ancora provveduto a ratificare il Trattato di Pelindaba: tra questi l’Egitto, la Liberia e il Marocco.

Non c’è solo Pelindaba. Dal 2017, infatti, si è aperto un “nuovo capitolo del disarmo nucleare”, come lo hanno definito gli attivisti della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN), vincitori del premio Nobel per la pace. Si tratta del Trattato per la messa al bando delle armi nucleari (TPNW, dalla sigla in inglese), entrato in vigore all’inizio di quest’anno. L’obiettivo di quest’ultimo trattato è radicalmente diverso rispetto al TNP, in quanto intende andare oltre la ripartizione dicotomica tra Stati nucleari e non nucleari, mirando piuttosto ad una universalizzazione del divieto di possesso e utilizzo dell’arma atomica. Come spiega il professor Nick Ritchie dell’Università di York, la diplomazia del TPNW, alla quale la maggior parte degli Stati africani si associa, si pone l’obiettivo di superare la struttura egemonica di potere generalmente conosciuta come “ordine nucleare globale”. Leggendo lo scenario nucleare in quest’ottica neogramsciana, Ritchie nota che il TPNW costituisce un valido strumento controegemonico con il quale il Sud del mondo può scalfire lo status quo, ovvero la concentrazione di potere esclusiva nelle mani del ‘club nucleare’.

Gli stati africani che lo hanno firmato sono 29, ma solo 9 di loro hanno già portato a termine l’iter di ratifica. Ci si attende che altri, tra cui l’Algeria, possano compiere questo passo nei prossimi mesi. Sulla numerosità degli stati parte del TPNW nel continente africano potrà pesare la qualità delle relazioni che questi mantengono con gli Stati nucleari, specialmente se si tratta dell’ex potenza coloniale (Francia e Regno Unito), degli Stati Uniti o della Cina.

Il futuro dello scenario nucleare globale rimane incerto: nulla può assicurarci che il TPNW avrà successo, nulla può garantirci che la diplomazia prevarrà sulle frenetiche corse agli armamenti. Gli Stati africani, liberi dall’arma atomica grazie al Trattato di Pelindaba e bisognosi di risorse per il proprio sviluppo, potranno esercitare una significativa influenza morale sul dibattito pubblico in materia di disarmo nucleare. Parlare con una sola voce non potrà che rafforzare la loro posizione. É così che, per esempio, la Commissione dell’Unione Africana ha pubblicato un comunicato stampa per esprimere la propria soddisfazione quando il TPNW è entrato in vigore e per esortare tutti i suoi membri ad aderirvi. Il prossimo grande appuntamento è fissato per marzo 2022, quando si terrà a Vienna la prima riunione degli Stati parti del trattato. La partecipazione degli Stati africani a quell’importante incontro intergovernativo consentirà loro di ribadire la propria posizione: chiedere un mondo senza atomica.

(Francesco Pezzarossi)

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