La cooperazione allo sviluppo? Sta cambiando, ecco come

di Enrico Casale
cooperazione internazionale

Più protagonismo delle realtà locali, coinvolgimento di nuovi attori economici, ruolo fondamentale della diaspora: si muove all’interno di questo quadro il nuovo concetto di cooperazione internazionale emerso dalla prima giornata di Co[opera], la conferenza nazionale della cooperazione allo sviluppo, organizzata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che si è tenuta ieri e prosegue oggi a Roma (Auditorium Parco della musica).

Un’iniziativa nuova quest’ultima. Un forum aperto a operatori, politici, cittadini, scolaresche per dibattere un tema che sta assumendo un’importanza crescente nella società italiana. Un argomento verso il quale c’è un’interesse e una curiosità impensabili solo pochi anni fa. «È stata un’iniziativa di grande impatto – spiega Massimo Zaurrini, giornalista di “Africa e Affari” -. C’era moltissima gente, la sala che la ospitava era molto grande, ma era strapiena. Gli incontri tematici sono stati molto partecipati». «Sono rimasto molto colpito dalla partecipazione – conferma Jean-Leonard Touadi, giornalista, africanista, ex parlamentare -. C’era veramente tanta gente sia in sala sia negli stand. È la prima volta che temi di questo tipo vengono portati all’attenzione del grande pubblico e la risposta è stata positiva. Questo significa che c’è interesse con i temi della cooperazione e che questi stanno entrando nel sentire comune. Ritengo che ciò sia molto stimolante».

Ma quali sono i numeri della cooperazione italiana? Oggi il nostro Paese è il quarto donatore tra le nazioni del G7, gli aiuti sono raddoppiati rispetto al 2014 e i 120 milioni di euro di aiuti in emergenze nel corso del 2017, rappresentano il 20% in più rispetto all’anno precedente. L’Agenzia della Cooperazione, braccio operativo nato con la riforma della legge di settore, nella sua prima fase di vita, ha gestito mille progetti per un miliardo di euro attraverso le sue venti sedi nel mondo. Nel corso della conferenza è stato sottolineato come, a orientare l’impegno della Cooperazione internazionale, sia l’Agenda 2030 ovvero i 17 grandi obiettivi di sviluppo sostenibile concertati in sede Onu. Obiettivi ambiziosi per i quali è ormai imprescindibile ricorrere anche al settore privato per colmare il gap finanziario e trovare nuove strade di azione.

«Anche in questa occasione – osserva Zaurrini -: è stato ribadito il concetto che nella cooperazione, ai tradizionali operatori (Ong, Onlus, fondazioni, enti pubblici, ecc.), ormai si stanno affiancando gli attori economici. Il concetto, che è poi quello che innerva la nuova legge italiana sulla cooperazione, è che l’Africa può essere aiutata anche attraverso un business sano, rispettoso dell’ambiente, delle società locali e delle persone, che crei valore aggiunto per il continente. Concetto affermato dal ministro Carlo Calenda e dal presidente centrafricano Ange-Felix Touadera e poi ribadito in molti altri interventi».

Ha colpito come, sebbene si parlasse di cooperazione tout court, molti relatori hanno focalizzato i loro interventi sull’Africa. Perché? Forse perché c’è l’impressione che l’Africa sia il continente più bisognoso o forse perché l’emergenza immigrazione ha fatto diventare l’Africa una priorità nell’azione di sostegno. «L’Africa è al centro delle attività della Cooperazione, un’area privilegiata di intervento – continua Zaurrini -. Nel 2016 sono stati condotti a livello globale quattro miliardi di investimenti desinati agli aiuti allo sviluppo. In ambito europeo è stato approvato il Piano Ue per gli investimenti esterni per l’Africa subsahariana e il Vicinato. Uno strumento fondato sui meccanismi di blending esistenti e sulla creazione di uno nuovo schema europeo di garanzia. In tale contesto sono stati stanziati dalla Commissione europea 4,1 miliardi».

Un sostegno che ormai non può più prescindere dal rinnovato protagonismo della società africana. «L’Africa, a tutti i livelli, chiede di essere riconosciuta e associata in modo attivo a ciò che viene realizzato sul suo territorio – conclude Jean-Leonard Touadi -. La cooperazione quindi non può non tenere conto di questo protagonismo. Non si può più concepire un’azione imposta dall’estero, ma la realtà locale va letta attentamente per individuare quegli attori locali attivi e dinamici in grado di promuovere lo sviluppo. Inviare risorse è importante, ma non è esaustivo. È sempre più necessario valorizzare la realtà africana offrendo ad essa quel (poco) che le serve affinché prenda in mano il suo futuro. In questo sistema vedo un ruolo importante della diaspora che può offrire il proprio ruolo di mediatore culturale tra la realtà del mondo occidentale e quella africana».

«Gli africani devono essere protagonisti – afferma Sabrina Atturo, operatrice della Fondazione Magis, l’Ong dei gesuiti italiani -, ma sono d’accordo con quanto diceva Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio: dobbiamo dar vita a una stretta cooperazione con i partner africani. Una cooperazione che sia una collaborazione  con leader seri e credibili. Altrimenti diventa beneficenza. Una cooperazione che guardi ai giovani africani non perché dobbiamo “aiutarli a casa loro”, ma perché hanno enormi potenzialità da sviluppare e noi possiamo sostenerli in questo cammino».

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