Kagame e Nukurunziza, quell’amore per la poltrona…

di Enrico Casale

Il gusto del potere unisce molti leader africani. Al di là della fede, dell’appartenenza etnica, delle idee politiche.

 

Kagame e NkurunzizaPuò così capitare che due Presidenti, uno tutsi e l’altro hutu, uno ruandese e l’altro burundese, siano in questi giorni accomunati dal tentativo di rimanere in carica anche oltre i limiti imposti dalle rispettive Costituzioni. Stiamo parlando di Paul Kagame, capo dello Stato ruandese, tutsi, ex ribelli contro i Governi hutu, arrivato al potere dopo il genocidio del 1994. E di Pierre Nkurunziza, capo dello Stato burundese, hutu, fieramente anti tutsi, arrrivato al potere dal 2005. Entrambi sono in scadenza, ma entrambi stanno lavorando per estendere il loro mandato. È un vizio africano e anche altrove nel continente capita: pensiamo, solo per fare alcuni esempi, ai tentativi di Joseph Kabila (R. D. Congo), Denis Sassou Nguesso (Congo), Idris Déby (Ciad), Paul Biya (Camerun), ecc. Questo caso, però, desta l’attenzione perché i due leader incarnano un viscerale attaccamento a gruppi opposti eppure sono uniti dall’amore per la poltrona.

In Ruanda, da tempo ormai, si parla apertamente di una revisione della Costituzione. In particolare, dell’articolo 101, che limitata a due, i mandati presidenziali. Articolo che, se non fosse modificato, escluderebbe Kagame dalle prossime Presidenziali del 2017. «Ciò che è interessante – ha detto Kagame in un’intervista al settimanale “Jeuneafrique” – è che questo dibattito non è stato lanciato nel 2017 dai ruandesi. Per tre o quattro anni, i media, le ambasciate, le Ong straniere danno la sgradevole impressione di essere ossessionati da questa riforma, come se gli affari interni del Paese interessassero più della popolazione stessa. Ora, è vero, è giunto il momento per noi di discutere democraticamente, pacificamente e in modo indipendente. Le conclusioni saranno tratte dai ruandesi e da loro soltanto». Ma che cosa pensano i ruandesi? E quanto sono liberi di esprimersi? Il nodo è proprio questo. Amnesty International, nel suo «Rapporto 2014-2015» denuncia le sistematiche restrizione della libertà di espressione e di associazione nel Paese. Giornalisti, operatori dei diritti umani e politici dell’opposizione sono stati arrestati oppure costretti a fuggire.

Non è migliore il clima in Burundi. Qui si voterà per il nuovo capo di Stato il 26 giugno. Nkurunziza ha già ricoperto la carica per due mandati. Contro una sua eventuale ricandidatura si sono pronunciati Usa, Chiesa cattolica locale e alcuni quadri del partito di Governo. La questione è stata anche oggetto di un colloquio telefonico tra il presidente e Ban Ki-moon, Segretario generale dell’Onu. Nkurunziza sostiene tuttavia di potersi ricandidare perché solo uno dei due mandati è il risultato d’un elezione diretta. Nel frattempo il rappresentante dell’Unione africana a Bujumbura, Boubacar Diarra, ha lasciato la città. Secondo fonti diplomatiche citate dalla stampa internazionale, Diarra sarebbe stato richiamato a seguito delle proteste della Presidenza della Repubblica burundese per le sue prese di posizione contro un eventuale terzo mandato di Nkurunziza. Un politico quest’ultimo che, secondo alcuni osservatori internazionali, continua a soffiare sul fuoco del contrasto etnico, proprio per rimanere al potere. Un gioco rischioso che potrebbe gettare il Paese nel baratro della guerra.

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