Jacques Bahati ▸ Rd Congo, una bomba a orologeria

di Pier Maria Mazzola

Un’analisi della situazione politica del Paese, dove il presidente Kabila è abbarbicato al potere, e un appello alla società civile a non lasciare spiragli alla violenza, quando scende in piazza per le sue sacrosante manifestazioni. E senza dimenticare le responsabilità della comunità internazionale.

La crisi politica nella Repubblica democratica del Congo è davvero una bomba a orologeria. La diagnosi più credibile è che i molti mali che distruggono il Paese derivano da una cattiva governance. A causa del malgoverno, le elezioni richieste a norma di Costituzione sono state rimandate e la corruzione è diventata una prassi, una cultura dell’impunità. Il sistema giudiziario protegge i potenti e ricchi gruppi armati che aumentano di numero e che in alcune province controllano aree immense. Territori prima pacifici, che ora vedono gravi spargimenti di sangue, il sistema educativo deteriorato, un flusso di rifugiati verso le nazioni vicine. Continuano gli spostamenti interni di persone, tra i più alti nel continente, e il land grabbing – l’accaparramento di terre – ha superato, secondo Land Matrix (un’iniziativa indipendente di monitoraggio), quello di qualsiasi altro Paese africano.

Il 19 marzo scorso, il segretario generale della Conferenza episcopale congolese, don Donatien Nshole, a nome dei vescovi ha dichiarato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che l’Accordo di San Silvestro, firmato nel dicembre 2016 tra il governo e l’opposizione, rimane «un fattore chiave nell’organizzazione di una transizione graduale» dal regime di Kabila. L’accordo richiedeva la condivisione del potere tra le parti, Kabila e l’opposizione, prima delle elezioni che dovevano svolgersi a fine 2017, nelle quali Kabila non avrebbe dovuto candidarsi.

IL PACIFICO TRASFERIMENTO DI POTERE…
Dopo le trattative condotte dall’ex primo ministro togolese Edem Kodjo sotto il mandato dell’Unione Africana, un secondo round di colloqui facilitato dalla Conferenza episcopale era iniziato l’8 dicembre 2016 e aveva portato alla firma il 31 dicembre: l’Accordo di San Silvestro, appunto, intitolato al santo del giorno nel calendario liturgico cattolico. Tra le altre condizioni, l’Accordo fissava le elezioni al dicembre 2017. Non si sono svolte.

Attualmente l’iscrizione degli elettori è terminata e la legge elettorale è stata promulgata. Tuttavia l’opposizione non ripone fiducia nel processo elettorale in corso e ha appellato all’abrogazione della vigente legge elettorale e alla sua sostituzione. C’è chi chiede un governo di transizione senza Kabila presidente.

L’ARGOMENTO LEGALE DI KABILA PER RIMANERE AL POTERE
Il presidente Joseph Kabila sostiene che l’articolo 70 della Costituzione gli impone di trasferire il potere a un altro presidente. Esso recita: «Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto per un mandato di cinque anni, rinnovabile una sola volta. Alla fine del suo mandato, il Presidente rimane in carica fino a quando il Presidente eletto assuma effettivamente le sue funzioni».

I negoziatori dell’Accordo di San Silvestro citavano questo articolo della Carta per giustificare il motivo in base al quale Kabila doveva rimanere legalmente Presidente per un altro anno (San Silvestro, Capitolo III 2.1).

L’ALTERNATIVA LEGALE PER UN CONGO SENZA KABILA
L’articolo 75 della Costituzione così stabilisce: «In caso di mancanza, a seguito di decesso, dimissioni o qualsiasi altra causa di inabilità permanente, le funzioni del Presidente della Repubblica, a eccezione di quelle menzionate negli articoli 78, 81 e 82, sono temporaneamente assunte dal Presidente del Senato». RESISTENZA DELLA SOCIETÀ CIVILEMolti gruppi della società civile stanno spingendo per il cambiamento e numerosi cittadini sono stati incarcerati per attività politiche e per avere dichiarato ciò che sta avvenendo nel Paese. Il loro rilascio è una priorità, in questo tempo di grande sofferenza e tensione. Il 31 dicembre 2017, il 21 gennaio e il 25 febbraio 2018, il Comité Laïc de Coordination (Clc), un gruppo laico che agisce con la benedizione della Chiesa cattolica, ha organizzato pacifiche proteste per chiedere, tra le altre cose, elezioni trasparenti, regolari, libere. Dopo la preghiera, portando rosari e croci hanno marciato insieme da diverse parrocchie. Si sono registrati incidenti, con le forze di sicurezza che hanno disperso la folla nelle strade e nelle chiese facendo uso di gas lacrimogeni. Tra le persone picchiate, anche sacerdoti e chierichetti che erano alla testa delle marce. Sono stati stilati rapporti dei fatti che parlano di almeno una dozzina di morti e centinaia di feriti, con danni alle proprietà per migliaia di euro. Alcuni sacerdoti sono stati ulteriormente presi di mira dal governo, con interrogatori e arresti. Hanno anche ricevuto minacce di morte anonime.La mobilitazione popolare della Chiesa cattolica si segnala come uno sforzo unificatore, in un Paese in cui le comunità sono divise secondo linee etniche e politiche e la violenza viene scatenata per mantenere lo status quo. In poco tempo, molti congolesi dei diversi angoli del Paese si sono impegnati in varie attività con un impatto, che rimane ancora vivo, a livello nazionale.

LA STRADA CHE CI STA DAVANTI
Bisogna esigere lo Stato di diritto, in particolare per quanto riguarda il limite del mandato presidenziale, la cui durata non può più essere opzionale. Il governo manca di volontà politica, ma i cittadini devono continuare a chiedere il rispetto dello Stato di diritto. Questo comprende la richiesta di elezioni e l’insistenza affinché non vengano apportati cambiamenti alla Costituzione, in particolare per quanto riguarda il mandato presidenziale (art. 70). Ovviamente, la continua negazione del diritto dei cittadini a mobilitarsi e ad esprimere il proprio pensiero è una grave violazione dei diritti costituzionali.

RISCHI
Ma attenzione! Gli organizzatori delle marce pacifiche devono stare molto vigili per non cadere nella trappola della violenza, che potrebbe dare al governo un pretesto per dichiarare lo stato di emergenza.Il presidente potrebbe infatti utilizzare l’esercito per sospendere tutte le istituzioni dello Stato e la Costituzione, aumentando così il pericolo che essa possa venire a essere modificata. Se lo stato di emergenza verrà dichiarato, che non lo sia a motivo della violenza dei protestatari! È fondamentale che gli organizzatori delle manifestazioni pacifiche vigilino a che non ci siano infiltrati tra i dimostranti, agenti del governo, o semplici delinquenti, che tentano di creare il caos e la violenza gratuita.La vera domanda adesso è come preparare elezioni davvero indipendenti e affidabili. Vale la pena arrivare in fretta alle elezioni? O è più importante avviare un processo comune, che sia accolto da tutte le fazioni della classe politica?

SEMPRE IN CAMPAGNA CONTRO LE DIVISIONI ETNICHE
La divisione etnica è uno strumento fondamentale dei politici per mantenere e consolidare il loro potere. Pertanto, al popolo congolese va costantemente ricordato che deve riconoscere e prendere le distanze dalle divisioni e dalle violenze etniche. Un’instabilità diffusa potrebbe essere utilizzata per giustificare un ulteriore ritardo delle elezioni.

I GOVERNI STRANIERI
La comunità internazionale che è disposta a unire gli sforzi per promuovere la democrazia nella Rd Congo dovrebbe coordinare le sanzioni comminate a chi organizza e provoca violenze e divisioni. E soprattutto non dovrebbe sostenere o finanziare la lotta armata. Gli Stati membri delle Nazioni Unite dovrebbero chiedere un mandato più forte per le truppe di peacekeeping in Congo, simile a quello della Brigata di Intervento (risoluzione 2098 delle Nazioni Unite) che ha contribuito ad annientare il gruppo ribelle M23 nel 2013.

PER UNA NAZIONE DEMOCRATICA
Una Repubblica democratica del Congo… democratica, pacifica e prospera ha le potenzialità per un netto miglioramento sociale ed economico, per garantire la sussistenza non solo al popolo congolese ma anche ai cittadini dei nove Paesi limitrofi, e oltre. Una lotta per istituzioni forti per ottenere la responsabilità attraverso lo Stato di diritto è l’unica via sulla quale il Congo potrà mettere in atto le sue potenzialità. Ciò che più serve è una vigorosa solidarietà con i coraggiosi cittadini congolesi che vogliono che la Rd Congo non ritorni mai più alla dittatura, non importa se incostituzionale o costituzionale, ed esigono un trasferimento di potere ordinato per ogni carica elettiva.

Foto Reuters: un momento delle manifestazioni del 21 gennaio 2018 a Kinshasa


Jacques Bahati Ntama, analista politico di Africa Faith and Justice Network (AFJN) a Washington (USA) dal 2007, è originario della Repubblica democratica del Congo. Ha conseguito una laurea in Filosofia (2000) a “La Ruzizi” a Bukavu (Rd Congo), quindi Master of Divinity (2006) e Master of Arts in Ethics (2007) alla Catholic Theological Union di Chicago (Usa).

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