In anteprima a Milano un film che fa luce su tabù e oppressione femminile

di claudia

Tra pochi giorni, giovedì 14 aprile alle ore 19.30 al Cinema Anteo di Milano esce in sala, come anteprima del FESCAAAL, Madre e Figlia (Lingui, Les Liens Sacrès), un film africano presentato nella selezione ufficiale dell’ultimo festival di Cannes. Un film che affronta con coraggio diversi tabù, in particolare legati alla condizione femminile, presenti in Ciad, Paese natale del regista Mahamat- Saleh Haroun.

di Annamaria Gallone

Oggi sono felice, come ogni volta che un bel film africano esce in sala. Stavolta si tratta di Madre e figlia (Lingui, Les Liens Sacrès) del regista ciadiano Mahamat-Saleh Haroun, uno dei più importanti registi contemporanei dell’Africa. Il titolo italiano del film è Madre e Figlia ed è programmato il 14 aprile h.19,30 al Cinema Anteo di Milano.

Vi avevo già accennato a questo film presentato in selezione ufficiale all’ultimo Festival di Cannes, dove il regista è tornato per la terza volta in competizione: giovedì prossimo avrete modo di vederlo come anteprima del FESCAAAL (Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina) che si svolgerà dal 29 aprile/ 8 maggio. Il regista ancora una volta affronta con coraggio diversi tabù del suo Paese.

La trama

N’djamena, Ciad. Amina vive con la figlia quindicenne Maria. Il suo fragile mondo, fatto di piccoli, ma pesanti lavori artigianali e frequentazioni della locale moschea, crolla quando Maria resta incinta, si rifiuta di rivelare il nome del padre, e dichiara di non voler portare avanti la gravidanza. In Ciad l’aborto è condannato da legge e religione e Amina, dopo la dolorosa rivelazione, fa di tutto per aiutare la figlia, disposta a ogni cosa, in una battaglia impari, aiutata unicamente dalla solidarietà femminile. Una favola moderna, dove ogni inquadratura è intima e sobria, priva di sbavature retoriche pur essendo pregna di emozioni e sentimenti.

Amina, interpretata dalla carismatica Achouackh Abakar, affronta fatiche pesantissime, come vediamo nella prima inquadratura, il volto grondante di sudorementre ricupera all’interno di vecchi pneumatici i fili intrecciati dei cavi con i quali costruisce piccoli fornelli che poi vende per strada e nei mercati. Bellissima l’immagine della donna che cammina nelle strade gialle e polverose, i veli del suo abito coloratissimo, svolazzante nel vento, portando in precario equilibrio sul capo una piramide di fornelli.

La donna ha un vigile amore per la figlia (Rihane Khalil Alio) e si preoccupa vedendola diventare sempre più scontrosa e chiusa in sé stessa. Viene a scoprire la verità dalla direttrice del liceo che le comunica seccamente che Maria è stata cacciata perché incinta. Notizia tragica perché la madre rivive la sua stessa drammatica esperienza di ragazza madre rifiutata dal suo compagno e disprezzata dai conoscenti. Tutto il suo amore è per la figlia e quindi rifiuta anche Barim, (Youssouf Djaoro, attore magnifico, feticcio di Haroun) il vicino che le fa la corte e vorrebbe sposarla. Dopo i pesanti rimproveri e le percosse, capisce che la figlia ha diritto di riappropriarsi del proprio corpo e decide immediatamente di aiutarla, ma il medico a cui si rivolgono potrebbe operare solo in cambio di una cifra esorbitante e in luogo nascosto. Maria, disperata, tenta il suicidio e a quel punto la madre decide il tutto per tutto, si fa bella e si offre in modo provocante e impudico al suo spasimante in cambio della cifra necessaria, ma Barim, uomo profondamente religioso, la insulta e fugge inorridito. Arriva nel frattempo la sorella che aveva bandito Amina, come tutta la sua famiglia, e che viene a incontrarla perché ha bisogno dell’aiuto per la figlietta, destinata all’escissione per volere della famiglia tradizionale del marito. Scatta così la solidarietà femminile: la sorella offre il suo oro come aiuto economico, la levatrice pratica una falsa escissione alla bimba e procura l’aborto a Maria.

Commovente il crescere del rapporto affettivo tra Amina e la figlia, come l’impegno totale della madre e il filo della solidarietà tra le donne. Il tutto trattato con estrema delicatezza, nonostante i temi siano molto pesanti.

Il ruolo della donna

Per la prima volta Haroun incentra il suo film su protagoniste femminili e partendo dalla sacralità dei legami mette in risalto la condizione di oppressione subita dalle donne non solo nel suo Paese. Tranne gli uomini che portano in salvo Amina che dall’acqua, le figure maschili si rivelano tutte meschine, dall’Imam che vuole tutto controllare allo spasimante che non concede il suo aiuto nel momento del bisogno e che Amina alla fine della storia bastona ben bene. Il perdersi nel labirinto nei vicoletti della città rappresenta la chiara metafora di chi sta per soccombere, ma trova infine la via di uscita.

Un film semplice e grande nella sua semplicità, che non ha bisogno di effetti speciali, che trova la sua forza nella quotidianità, con un racconto neorealistico e naturalistico. In fondo le tematiche dei film del regista ciadiano hanno sempre come base l’ingiustizia e la violenza, che generano ribellione. Uomini e donne che si ribellano alla oppressione culturale sistemica della loro patria. 

Daratt

Così è anche l’altro film di Haroun che amo moltissimo: DARATT (LA STAGIONE DEL PERDONO), premio speciale della giuria al festival di Venezia ambientato in Ciad, nel 2006.

Il governo accorda l’amnistia a tutti i criminali di guerra. Atim ha sedici anni e una pistola con cui vendicare il padre e farsi giustizia da sé, come gli ha insegnato il nonno. L’assassino è Nassara, panettiere, che non conosce le vere intenzioni di Atim, e assume il ragazzo come garzone. Tra i due nasce ben presto un rapporto complesso e profondo. Fino a che Nassara si offre di adottare il ragazzo, che lo riporta invece dal nonno, che gli impone di umiliarlo e giustiziarlo. Atim, però, non se la sente e lo perdona.

Tutto il percorso cinematografico di Harou, d’altronde, è centrato sui diritti umani. Dopo gli studi di cinema e giornalismo a Parigi al Conservatorio del cinema, comincia a lavorare come giornalista per una radio locale. Nel ’94 realizza il suo primo cortometraggio, Maral Tanié, pluripremiato, che racconta la storia di un matrimonio forzato. e
Del ’99  è Bye Bye Africa, un docu-drama di riflessione sull’esperienza di un regista che torna nel suo paese dopo molti anni e indaga sulla sparizione dei cinema: premiato come migliore opera al Festival di Venezia. Uno spezzone di Abouna, del 2002, ha trovato un posto d’onore nel Museo del cinema di Torino, alla Mole Antonelliana ed è stato anche presentato al Festival di Cannes. Dopo Kalala girato nel 2006, un documentario dedicato a un carissimo amico morto di aids, con Daratt, che ha ottenuto il premio speciale della giuria alla 63a Mostra del cinema di Venezia, realizza un grande capolavoro, come vi accennavo prima.

Dal dramma alla commedia “televisiva” (come nel caso di Sexe, gombo et beurre salé del 2008), il regista dimostra di saper trattare temi e generi diversi, anche se è più portato al dramma, come dimostrano altre sue grandi opere: Un homme qui crie (2010) e Gris gris (2013).
Presentato a Cannes, nel 2016 nella sezione eventi speciali, il documentario Hissène Habré, une tragédie tchadienne, è centrato su una serie di testimonianze inedite delle vittime di torture e di efferate sevizie inflitte sotto il regime (1982-1990) del dittatore Habré, sotto processo a Dakar dove si era rifugiato. E il regista sottolinea come queste interviste siano fedeli, nel pieno rispetto delle persone, diversamente da quanto fatto finora. Nel 2010 realizza Une saison en France, sul dramma degli immigrati. Nel 2010 riceve il Premio Robert Bresson alla Mostra di Venezia per il complesso della sua opera e nel 2013 la Medaglia Fellini conferita dall’Unesco.

Adesso capite perché giovedì 14 aprile vi aspetto tutti all’Anteo per vedere MADRE E FIGLIA.

Condividi

Altre letture correlate: