Il nuovo cavo Internet spezzerà le catene della repressione digitale in Africa?

di claudia
internet in africa

Di Federico PaniCentro studi AMIStaDeS

Il Togo sarà il primo approdo di un nuovo cavo sottomarino che raddoppierà la velocità di Internet per 8 milioni di persone. L’opera potrà rappresentare un modello per l’intero continente africano, dove l’accesso ad Internet viene spesso “bloccato” dalle autorità governative: una vera spada di Damocle quella della “repressione digitale” che pone un freno allo sviluppo economico e culturale.

Il nuovo cavo. Una speranza per l’Africa intera.

L’investimento quinquennale di 1 miliardo di dollari a supporto di tutta una serie di iniziative, dal miglioramento della connettività agli investimenti in startup in tutto il continente africano, si propone di creare un miglior accesso a Internet ad alta velocità a prezzi convenienti in tutta l’Africa occidentale, in ragione del fatto che ad essere raggiunte saranno anche Nigeria e Namibia, prima di un collegamento finale a Cape Town, in Sudafrica, entro la fine dell’anno.

Secondo un report della Gsma, nell’Africa subsahariana un quarto della popolazione risulta essere ancora privo di copertura a banda larga: il cavo offrirà ora un servizio mobile di quinta generazione, contribuendo alla creazione di quasi 37 mila nuovi posti di lavoro. Il governo togolese, guidato dal 2005 dal presidente Faure Gnassingbe, ha incentivato lo sviluppo informatico attraverso un programma nazionale di digitalizzazione, denominato Togo Digital 2025, sovvenzionato lo scorso maggio anche dalla Banca Mondiale con un prestito da 11 milioni di dollari con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo economico e commerciale del Paese.

L’accesso alla Rete: un problema comune a tutta l’Africa.

L’accesso a Internet è sempre stato limitato per la popolazione del Togo e nel 2017 i manifestanti scesero in piazza accusando le autorità di averlo precluso alla popolazione. Un problema comune a diversi Paesi africani dove i governi hanno spesso chiuso o limitato l’accesso alla Rete o alle piattaforme dei social media sostenendo come ciò avrebbe agevolato il mantenimento della sicurezza nazionale. Il lavoro di Anita Gohdes, incentrato sulla Siria, suggerisce inoltre che le autorità si servano degli shutdown per indebolire sistematicamente l’opposizione, ordinando ai provider di servizi Internet (ISP) di limitare, in parte o del tutto, l’accesso alla Rete. In Uganda, ad esempio, gli utenti online riferirono di aver avuto difficoltà ad accedere ad alcune app e ad alcuni siti alla vigilia delle elezioni. La Tanzania ha limitato l’accesso a Internet e alle applicazioni dei social media durante la tornata elettorale dell’ottobre 2020. Nel giugno dello stesso anno fu l’Etiopia a imporre la chiusura di Internet a seguito dei disordini scoppiati nel Paese dopo l’uccisione dell’attivista Oromo Hachalu Hundessa. Secondo Access Now, un gruppo di monitoraggio indipendente, nel corso del 2019 sono stati documentati 25 casi di spegnimento parziale o totale di Internet, in aumento rispetto ai 20 del 2018 e ai 12 del 2017.

Di quali metodi si servono le autorità per limitare l’accesso a Internet?

Una volta ricevuto l’ordine dalle autorità governative, sono i singoli fornitori di servizi a bloccare “materialmente” l’accesso alla rete. Questi si servono di diversi metodi. Uno di questi è noto come “blocco basato su URL”: esso funziona come un “filtro” e impedisce l’accesso da parte degli utenti a un elenco di siti considerati “vietati”.
Un altro metodo è denominato “limitazione”: esso limita il traffico verso siti specifici, fornendo l’impressione all’utente che il servizio sia lento, scoraggiandone così l’accesso alla rete.

La capacità dei governi di censurare la rete Internet è strettamente correlata al loro effettivo controllo sulle società di telecomunicazioni. Sebbene gli operatori possiedano il diritto di appellarsi ai tribunali, essi lo fanno piuttosto raramente. Ma con delle eccezioni. Nel 2019 i tribunali dello Zimbabwe si sono pronunciati a favore del ripristino dell’accesso a Internet dopo che il governo ne aveva ordinato la restrizione.

Tuttavia esistono diversi metodi con i quali le persone possono riuscire a eludere quelle “barriere” imposte dalle autorità. Uno di questi è l’utilizzo di reti private virtuali (VPN) che rendono la vita difficile a quei fornitori di servizi che intendano bloccare l’accesso al Web. I governi sono spesso timorosi di bloccare le VPN in quanto ciò potrebbe arrecare gravi disagi, ad esempio, ai diplomatici stranieri e alle grandi aziende che se ne servono dato il grado di sicurezza.

Per quale motivo Internet spaventa le autorità governative?

Alcuni governi del Continente africano hanno indicato nell’aumento delle cosiddette “fake news” diffuse molto spesso nel Web dagli utenti attraverso i social media il motivo che li autorizzerebbe ad imporre delle restrizioni.
Si può infatti nitidamente affermare come la chiusura di Internet sia divenuta la normalità. Nel 2019 almeno 10 Paesi africani hanno bloccato l’accesso al Web dando avvio a un vera e propria “repressione digitale”. Il termine shutdown è stato ampiamente utilizzato per descrivere diversi fenomeni di manipolazione della rete globale, che vanno dalla manomissione della velocità di connessione; al blocco di contenuti Web specifici, come Facebook o Twitter; al divieto totale dell’accesso a Internet.

Per gli scienziati sociali la vera sfida inizia già col cercare di misurare e quantificare l’esatto grado di chiusura di Internet. Gli informatici hanno così iniziato ad analizzare il traffico Internet su larga scala per monitorare eventuali blocchi della Rete: la piattaforma IODA fornisce informazioni dettagliate sulle interruzioni di Internet, compresi dettagli sui diversi fornitori coinvolti. Tuttavia i dati disponibili sono generalmente di grandi dimensioni in quanto le misurazioni vengono eseguite più volte al giorno e sono quindi difficili da elaborare e interpretare. Il software dell’Open Observatory of Network Interference (OONI) fornisce informazioni approfondite su quali servizi risultino essere bloccati dai provider.

Le autorità governative sono comunque spesso restie ad assumere una decisione di una tale entità, consapevoli del danno economico derivante dalla chiusura della Rete. Si stima che la chiusura del Web per tre giorni in Niger nel gennaio del 2016 avrebbe comportato perdite economiche per oltre 1,2 milioni di dollari. La crescente pressione operata dalla società civile e dalle organizzazioni per i diritti umani ha inoltre fatto desistere i governi dal bloccare la Rete e campagne mediatiche come #KeepltOn o Article19 hanno di fatto sensibilizzato l’opinione pubblica sulle violazioni della libertà di espressione correlate al blocco dei servizi Internet.

SITOGRAFIA

https://www.corrierecomunicazioni.it/telco/google-scommette-sullafrica-in-togo-il-cavo-sottomarino-per-internet-veloce/

https://www.google.com/amp/s/www.bbc.com/news/world-africa-47734843.amp

What we do (not) know about Internet shutdowns in Africa

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