Farmaci | Progressi nella lotta alla contraffazione

di Pier Maria Mazzola

Significa tanto “rimedio” quanto “veleno” la parola greca phármakon, che potrebbe avere origine nell’egizio mak, “cura”. Etimo che torna d’attualità con certe notizie ricorrenti in fatto di medicine. Il 16 gennaio a Libreville (Gabon), sono state date alle fiamme oltre 7 tonnellate di prodotti farmaceutici e cosmetici contraffatti; 30 tonnellate di prodotti analoghi erano state sequestrate in Burkina Faso meno di un anno fa; 385 le tonnellate intercettate in Costa d’Avorio nel 2017-18. È di 100.000 il numero stimato degli africani che ogni anno muoiono per l’assunzione o l’utilizzo di farmaci fasulli – vuoi perché dannosi vuoi perché anche innocui ma che distolgono dal consumo di quelli che sarebbero buoni per la salute.

A Lomé dovevano ritrovarsi dieci giorni fa sette capi di Stato decisi ad alzare il livello di contrasto a questa strage silenziosa con la messa in opera di strategie efficaci e instaurando meccanismi di collaborazione tra i loro Paesi. In realtà è stata una partenza a metà falsa, dato che i presidenti effettivamente a convegno nella capitale erano solo tre: il padrone di casa, Faure Gnassingbé, e gli omologhi ugandese e senegalese, rispettivamente Yoweri Museveni e Macky Sall; di Niger, Congo e Ghana erano presenti i ministri della Sanità; Gambia, non pervenuta.

Il ministro nigerino Idi Illiassou Mainassara ha rilevato come quasi il 60% delle medicine in vendita in molti Paesi siano «di qualità inferiore o semplicemente contraffatte»; Aminata Touré, già prima ministra e oggi presidente del Consiglio economico, sociale e ambientale del Senegal, osserva che anche il ceto medio è sempre più colpito dal fenomeno, poiché i medicinali tarocchi non sono in vendita solo nei mercati ma anche, e sempre più, nelle farmacie. Si calcola insomma che una confezione su tre di qualsiasi preparato che circola sul continente sia un falso. I Paesi africani più colpiti sono Nigeria, Benin, Kenya, Togo e Namibia.

Il problema non è nuovo, né si è cominciato appena adesso a prenderne coscienza. Nel quinquennio 2012-17, quattro grandi operazioni pilotate dall’Organizzazione mondiale delle dogane hanno portato, in 24 Paesi africani dotati di porti marittimi, al sequestro di 869 milioni di confezioni di medicinali sequestrate, per un valore di 400 milioni di euro – ma il giro d’affari complessivo è stimato in 85 miliardi di euro, basato per oltre un quarto sugli antimalarici e per circa altrettanto sugli antinfiammatori; seguono antibiotici e analgesici. Quanto alla curiosità di conoscerne i Paesi di origine, due nomi bastano: India e Cina per il 97%.

Il problema non è affatto esclusivo dell’Africa – sono un milione, secondo l’Oms, le vittime ogni anno in tutto il mondo – e a livello internazionale la più importante iniziativa è la Convenzione Medicrime, che «stabilisce la criminalizzazione della fabbricazione e della distribuzione dei falsi prodotti medicali». Promossa dal Consiglio d’Europa, Medicrime è stata lanciata nel 2011 a Mosca e vi possono aderire anche i Paesi extraeuropei; tra questi, in prima fila finora cinque Stati africani: la Guinea, la prima ad averla anche ratificata, il Burkina Faso, Il Benin, il Marocco e la Costa d’Avorio, che ha firmato l’anno scorso.

Quale può essere, dunque, il valore aggiunto del (mezzo) vertice di Lomé? «Questa è un’iniziativa tutta africana – ha spiegato Aminata Touré a Jeune Afrique –. Prendendo l’iniziativa su questa questione drammatica, questi politici si coinvolgono personalmente. È un primo passo. L’iniziativa dovrà ora risalire fino all’Unione Africana. Un’iniziativa endogena che chiama a modificare i quadri legislativi dei Paesi e a rafforzare la loro cooperazione».

La situazione è «drammatica», ha insitito Aminata Touré, ciò non toglie che «negli ultimi vent’anni la speranza di vita abbia progredito in Africa più che altrove nel mondo. L’accesso alla sanità è migliorato, anche se rimane molto da fare. Ma quello che è scandaloso è che delle imprese criminali si approfittino del bisogno della salute per accumulare miliardi di dollari».

Una strada da battere, oltre a quella ovvia della repressione, è che nei Paesi si mettano in piedi industrie farmaceutiche per prodotti di qualità e a prezzi abbordabili. Qualcosa esiste già, ma occorre «mettere in campo una più fattiva cooperazione regionale», insiste Aminata Touré. E comunque sempre all’interno di un quadro di controlli e senza abbassare la guardia nella lotta senza quartiere alla criminalità farmaceutica.

(Pier Maria Mazzola)

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