Eritrea | «L’Ue non finanzi il lavoro forzato»

di Enrico Casale

La Fondazione per i diritti umani per gli eritrei ha denunciato l’Unione europea all’Alta corte di Amsterdam. L’associazione, composta da eritrei esiliati, ha intrapreso l’azione affinché siano dichiarati illegali i finanziamenti (20 milioni di euro nel 2019 e 60 milioni nel 2020) accordati dall’Ue al governo di Asmara per lavori stradali e sia fermata l’azione di sostegno dell’Unione europea al regime di Isayas Afeworki.

Nella loro denuncia, gli avvocati Emil Jurjens e Tamilla Abdul-Alyeva fanno riferimento al diritto internazionale, che sanziona l’uso del lavoro forzato, ma anche ai testi della stessa Ue che vietano  qualsiasi supporto ad azioni che implicano «violazioni dei diritti umani».

I lavori stradali violerebbero i diritti umani perché in essi sarebbero impiegati i coscritti del «servizio nazionale» cioè i ragazzi di leva che, come hanno denunciato numerosi rapporti internazionali, vivrebbero in condizioni durissime e sarebbero costretti a corvée faticose.

A sua difesa, l’Ue, dopo le denunce fatte lo scorso anno dalla stessa fondazione, aveva risposto con lettera. In essa spiegava che, per collaborare con le organizzazioni internazionali, l’Eritrea rifiuta qualsiasi «condizione» e, allo stesso tempo, il finanziamento accordatole dall’Ue non era destinato al governo di Asmara, ma ai subappaltatori, in questo caso le società di costruzioni eritree responsabili dell’esecuzione dei lavori. Nella stessa lettera, l’Unione europea ha affermato di operare affinché la remunerazione sia effettivamente pagata ai dipendenti.

Gli avvocati della Fondazione per i diritti umani per gli eritrei hanno però ribattuto che i subappaltatori eritrei sono società comunque legate al partito unico, il Fronte popolare per la democrazia e la giustizia che governa il Paese dagli anni Novanta, o al ministero di Difesa. Inoltre i coscritti del «servizio nazionale» sono costretti a rispettare la durissima disciplina e sono soggetti alla gerarchia militare. Reclutati a 17 anni, prima del loro ultimo anno di scuola superiore, sono inviati per 18 mesi al campo di formazione militare di Sawa, nel deserto vicino al confine sudanese, dove spesso sono sottoposti a maltrattamenti. Ufficialmente, il servizio  militare dovrebbe durare 18 mesi, ma di fatto non vi è alcun limite. Migliaia di uomini e donne tra i 18 e i 50 anni rimangono a disposizione delle forze armate anche quando viene loro riconosciuto il congedo.

Oggi, giovedì 14 maggio, il Parlamento europeo è chiamato a discutere sull’argomento. Si discute una risoluzione del deputato francese Michèle Rivasi (Verdi), che invita la Commissione europea a «rinviare» qualsiasi finanziamento di tali progetti, fino a quando una missione di accertamento del Parlamento non potrà andare in Eritrea.

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