Dove nasce l’arcobaleno

di claudia
victoria falls

Tra storia e curiosità, visita guidata alle maestose Cascate Vittoria. È uno dei luoghi più noti e spettacolari d’Africa, visitato ogni anno da quasi un milione di turisti. La loro storia si perde nella notte dei tempi e, facendosi beffe degli allarmismi, è destinata a durare molto a lungo

di Gianni Bauce

L’Africa è una terra modellata da forze possenti, e le Cascate Vittoria sono il simbolo dell’energia che attraversa e scuote il continente. Un luogo maestoso, tra i più noti e frequentati dai turisti. Quasi un milione ogni anno ammirano lo spettacolo delle acque che cadono dalla parete rocciosa.

Una spaccatura nel terreno lunga 1.737 metri sbarra la strada allo Zambesi, che precipita con un salto impressionante alto fino a 107 metri. Giunto alle località di Victoria Falls e Livingstone, le due città di frontiera che segnano il confine tra Zimbabwe e Zambia, il quarto fiume più lungo dell’Africa si allarga, si apre per quasi due chilometri abbracciando l’intera estensione delle cascate. Il grandioso fronte fluido è interrotto in due punti dagli spartiacque naturali di due grandi isole, Cataract Island e Livingston Island, che non vengono mai sommerse dall’acqua nemmeno durante la piena, come dimostra l’abbondante vegetazione decidua che le ricopre.

Punti di osservazione

Il fronte è visibile per la quasi totalità dal lato zimbabwano, percorrendo uno scenografico sentiero che costeggia il precipizio e permette di ammirare le quattro principali sezioni delle cascate. La prima è la Devil’s Cataract, la più bassa, coi suoi 74 metri di altezza, ma non per questo meno impressionante; è infatti l’unica che, sul lato dello Zimbabwe, si può osservare da metà altezza grazie a una gradinata che scende nella gola.

Dopo Cataract Island si trova il tratto più alto ed esteso, Main Falls, forse la più spettacolare e fotografata sezione delle Victoria Falls. Segue Rainbow Falls, che prende il nome dal singolare fenomeno dell’arcobaleno perenne (talvolta ne compaiono addirittura due) che sovrasta le cascate, originato dalla rifrazione della luce solare nelle goccioline d’acqua nebulizzata, fenomeno al quale le cascate devono il loro antico (e poco noto) nome di shungu na mutitima (o chongo na mutitima), che in lingua tonka significa “il luogo dell’arcobaleno”. Chiude il fronte Eastern Cataract, l’unico tratto visibile frontalmente dallo Zambia.

Rocce che parlano

La storia delle cascate è stata scritta dal fiume sulle rocce. Milioni di milioni di anni fa, un’eruzione formò un vasto basamento di roccia basaltica tra gli odierni Zimbabwe e Zambia, che prende il nome di Batoka Plateau, il quale si crepò in corrispondenza delle attuali Victoria Falls. Dopo la grande glaciazione, l’innalzamento delle temperature e il conseguente ritorno delle piogge originarono innumerevoli corsi d’acqua nel continente africano, uno dei quali era il primitivo Zambesi.

I potentissimi venti successivi al disgelo crearono formazioni di dune giganti trasversali che, unitamente al sollevamento della crosta terrestre in corrispondenza dei margini della faglia Kalahari-Zimbabwe, sbarrarono il corso di molti fiumi che, invece di proseguire verso sud, deviarono alcuni verso l’Atlantico e altri verso oriente. Questi ultimi andarono a riempire la vasta depressione del Kalahari formando quell’enorme lago preistorico chiamato Lago Magkadigkadi (di cui si vedono ancor oggi le vestigia in Botswana nella grande salina di Sowa e Magkadigkadi Pan), che fino a 20.000 anni fa occupava gran parte dell’Africa australe. I fiumi, tuttavia, trasportarono una gran quantità di sedimenti, che innalzarono il fondale del lago fino al prosciugamento, circa 10.000 anni fa.

Lo Zambesi iniziò a scorrere sulle stesse rocce sedimentarie che avevano decretato la morte del lago e colmato contemporaneamente la frattura nel basalto. Le erose progressivamente, trovando la sua via verso l’oceano lungo la lieve depressione naturale che aveva seguito la frattura del plateau. Qui, a causa del brusco cambio di direzione dell’acqua, l’erosione si fece più intensa, e tale da scavare nelle epoche successive la tenera roccia sedimentaria fino al più profondo e duro basalto, un centinaio di metri più in profondità. I diversi colori degli strati sedimentari erosi dall’acqua sono chiaramente visibili da molti punti panoramici che si affacciano sulle gole.

La scoperta dei bianchi

Al confronto di questa storia, il fatto che David Livingstone sia stato, nel novembre 1855, il primo europeo a scoprire le cascate, pare un dettaglio insignificante. Ma fu probabilmente grazie a lui che oggi le conosciamo per quello che sono. Erano già state riportate nel 1715 su una mappa dal cartografo Nicolas de Fer (frutto dei racconti di popolazioni locali). La prima testimonianza diretta da parte europea della loro esistenza fu però quella di Livingstone, condotto dai Makalolo (all’epoca abitatori della regione) a ciò che chiamavano Mosi oa tunya (“Il fumo che tuona”). «Nulla in Inghilterra può eguagliare in bellezza un simile spettacolo, così maestoso e unico da sembrare riservato agli angeli», annotò il missionario ed esploratore, che battezzò le cascate in onore della sovrana d’Inghilterra.

La storia delle cascate proseguirà con Cecil John Rhodes, imprenditore e politico nelle colonie di Sua Maestà, e il suo sogno di unire tutti i possedimenti britannici attraverso un’unica ferrovia. Il progetto portò all’erezione del ponte di ferro sullo Zambesi, nel 1905, opera ingegneristica straordinaria che a oltre cent’anni dall’inaugurazione assolve ancora al compito di assicurare la viabilità tra Zimbabwe e Zambia in un punto strategico. Una perizia del 2005 ha stabilito che con semplici opere di manutenzione il ponte potrà durare altri cent’anni.

Vista sulle Victoria Falls. Le cascate sono visitabili in ogni momento dell’anno (sconsigliati i mesi di febbraio e marzo, in piena stagione delle piogge). Da luglio a gennaio, la minore portata dello Zambesi permette una chiara visione del fondo della gola; da aprile a giugno l’abbondanza d’acqua crea nubi che nascondono parzialmente la vista, ma il fragore delle cascate si può udire a chilometri di distanza

Stanno morendo?

Il 2019 si è caratterizzato per piogge scarse nella Valle dello Zambesi. Ma se il clima è stato avaro d’acqua, un’altra precipitazione si è abbattuta sulle Victoria Falls: la pioggia di notizie false diffuse da social media e testate giornalistiche che annunciavano l’imminente scomparsa delle cascate, notizie avvalorate da immagini di pareti di roccia nude senza un rivolo d’acqua.

Nonostante l’innegabile grave siccità, questa si è rivelata una delle più grandi bufale dell’ultimo decennio. La portata del fiume varia considerevolmente durante l’anno, per l’alternarsi di stagioni secche (in genere da maggio a ottobre) e delle piogge (novembre-aprile). È assolutamente normale che alla fine della stagione secca i fiumi raggiungano la portata minima e di conseguenza anche le cascate da essi originate. I livelli idrometrici del fiume registrati negli scorsi mesi non solo hanno smentito la morte imminente delle cascate, ma hanno anche certificato nel 2020 un livello record della piena del fiume, che non si registrava da oltre quarant’anni.

Chi è abituato a vedere le Cascate Vittoria non si stupisce di osservare a novembre ampi fronti della gola senz’acqua. Continua a stupirsi, invece, di come la superficialità di osservatori distratti possa generare allarmi ingiustificati e arrecare gravi danni all’industria turistica locale.

Questo articolo è uscito sul numero 6/2021 della Rivista. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

Condividi

Altre letture correlate: