Crollo del turismo, il Kenya ha una ricetta anticrisi

di Marco Trovato

Il coronavirus costringe il Kenya a ripensare la sua strategia economica, in particolare per quanto riguarda l’offerta turistica. Il ministro del Turismo, Naijb Balala, in una lettera pubblicata dal portale degli italiani in Kenya, malindikenya.net, spiega cosa dovrebbe fare il suo Paese per fronteggiare una crisi, che appare lunga, e arrivare all’autosufficienza, anche rispetto alla domanda e all’offerta ricettiva. Il turismo in Kenya, tra l’altro, ha iniziato l’anno con numeri positivi – 1.444.670 arrivi tra luglio 2019 e febbraio 2020, in crescita rispetto all’anno precedente –, ma la pandemia ha fermato tutto. Il turismo rappresenta il 10 per cento del prodotto interno lordo.

«Abbiamo bisogno di un cambiamento di paradigma se vogliamo una rapida guarigione e un turismo migliore – scrive il ministro nella sua lettera –. Non si tratta più di aspettare l’arrivo di visitatori internazionali per far prosperare il turismo. Come Paese, dobbiamo cominciare ad apprezzare il mercato interno e offrire loro i prodotti che fanno al caso loro. Pertanto, non dobbiamo dipendere dal turismo estero e iniziare a investire molto sul mercato interno e regionale. Molti dei mercati internazionali si sono stabiliti inizialmente con il proprio mercato interno e regionale, prima di guardare oltre».

Per Balala il Kenya non deve dipendere dal turismo esterno, ma «investire molto sul mercato interno e regionale. L’Africa ha una popolazione di circa 1,2 miliardi di persone, ma riceve solo 62 milioni di turisti, il che è deludente. Come dice l’adagio africano, “se vuoi andare veloce, vai da solo; ma se vuoi andare lontano, vai insieme”. Ora è il momento dell’Africa. Gli Stati africani devono unirsi e formare una federazione per promuovere il turismo nel continente. Se riusciamo ad avere 300-400 milioni di persone che viaggiano all’interno del continente, possiamo sicuramente aumentare i posti di lavoro e generare entrate senza dipendere dai turisti internazionali».

«In quanto continente – prosegue il ministro Balala – abbiamo una strategia sulla connettività all’interno del continente, la politica del cielo aperto aumenterà i viaggiatori, il commercio e gli investimenti, dovremmo anche pensare allo sviluppo delle infrastrutture all’interno dell’Africa a partire dalla rete stradale, marittima e ferroviaria. Una volta fatto questo, la regione si aprirà e le infrastrutture migliorate faranno crescere l’economia. La libera circolazione delle persone è un altro aspetto chiave su cui dobbiamo riflettere. Dobbiamo garantire che le persone possano viaggiare da una nazione all’altra senza ostacoli di visti e burocrazia di viaggio. In Europa, la maggior parte delle persone può spostarsi in circa 27 Paesi senza visti né posti di frontiera. Questa è la strada da percorrere per l’Africa».

Il ministro del Turismo keniano è cosciente che per realizzare questo progetto ci vorrà del tempo, «ma se iniziamo adesso, tra 5 anni saremo in grado di resistere a qualsiasi tipo di shock, anche ai consigli di viaggio imposti dai Paesi occidentali. Il turismo è uno dei principali beneficiari di valuta estera e contribuisce a circa il 10% del Pil del Kenya. Ma l’impatto del turismo va oltre il 20% in quanto interessa altri settori, che vanno dall’industria manifatturiera all’agricoltura, ai servizi finanziari, all’istruzione e molti altri. Più ci concentriamo sulla promozione dei viaggi all’interno del continente, più creeremo posti di lavoro e svilupperemo le nostre economie. Quindi, in Kenya, per i prossimi 2 anni, è imperativo per noi guardare alle opportunità nei nostri mercati nazionali e regionali. Questo può essere raggiunto – conclude il ministro – solo quando ripenseremo la nostra strategia di marketing, riprogetteremo i nostri prodotti e renderemo le destinazioni accessibili e interattive. La pandemia di Covid-19 può essere un’opportunità per agire ora ed espandersi ulteriormente per creare più posti di lavoro ed essere autosufficienti. Questa volta dovremo anche prenderci cura delle comunità che ci circondano ed essere sensibili all’ambiente».

(Angelo Ravasi)

 

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