Somalia – Mohamed, Slow Food, la guerra e gli orti

di Enrico Casale
orti in somalia

È nato sotto un albero. Probabilmente un grande albero di acacia. E forse questo ha segnato il suo destino di amante della natura e dell’agricoltura. E proprio alla natura guarda per ricostruire il futuro del suo Paese: la Somalia. Sabato 23 giugno, a Ceretto d’Alba, Mohamed Abdikadir riceverà il premio dedicato alla sostenibilità ambientale «Coltivare e Custodire 2018», assegnato dalle aziende vitivinicole Ceretto e dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

La storia di Mohamed Abdikadir, 29 anni, è comune a quella di molti ragazzi somali. Nato 29 anni fa nel Basso Scebeli, una zona agricola della Somalia, è subito costretto a fare i conti con la guerra, la violenza e il terrorismo. Perde il papà e la mamma. Rimane solo. Così viene stato trasferito, come sfollato, nel campo profughi di Ayuub gestito dall’Ong italiana «Acqua per la vita», nel Sud della Somalia, nel distretto di Merca. Qui cresce insieme ad altri duemila orfani.

In mezzo a tanta violenza e disperazione, Mohamed non si arrende. Ha la fortuna di frequentare la scuola. E ne approfitta. Frequenta le primarie, quindi le scuole superiori, fino ad arrivare all’università, a Mogadiscio, la capitale. Con una laurea in tasca riesce a trovare subito un lavoro: prima come insegnante e assistente sociale, e poi come direttore esecutivo della Ayuub Organization, che collabora con la Fao e il World Food Programme per sviluppare la produzione di cibo sostenibile. E lì capisce che la rinascita del suo Paese deve passare attraverso un modello di agricoltura e di vita che rispetti l’ambiente. Quell’ambiente così martoriato dalla guerra, ma anche dai rifiuti tossici portati dalle organizzazioni criminali dei Paesi occidentali. Una sensibilità ambientale che deve diffondersi tra i somali, a partire dal basso.

Nel 2010, grazie alla Fao, conosce per la prima volta di Slow Food. Per lui è la svolta della vita. Lo stesso anno dà vita al un primo nucleo di Slow Food in Somalia con sette persone e tre orti. Mohamed è una persona molto attiva e crede in quello che fa e perciò non si ferma lì. Riesce a diffondere l’attività del movimento in altre due regioni, a coinvolgere i bambini delle scuole elementari, a creare più di 11 gruppi con oltre 500 membri e ben 145 orti, grazie alle donazioni del progetto 10.000 orti in Africa. Sono piccole esperienze, ma dal grande valore umano, nutrizionale (offrono cibo vario per la dieta dei somali) e culturale (diffondono la cultura dell’autoproduzione e della sostenibilità).

Il suo attivismo e la sua storia lo fanno notare ai responsabili di Slow Food che lo segnalano al’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Qui viene ospitato e, grazie a una borsa di studio, può frequentare il Master in «Food Culture, Communication & Marketing».

«Al termine del corso – spiega Mohamed -, voglio tornare in Somalia per poter contribuire al cambiamento del mio paese e liberare il mio popolo dalla fame attraverso la filosofia Slow Food».

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