di Stefano Pancera
Un documentario innovativo rivela la presenza trascurata di figure africane nell’Europa rinascimentale, sfidando le percezioni dell’arte, della storia e dell’identità. We Were Here, di Fred Kudjo Kuwornu, offre un’esplorazione rivoluzionaria della presenza spesso trascurata degli africani nell’Europa rinascimentale.
C’è un momento in cui la storia smette di essere un racconto scritto dai vincitori e diventa dialogo. È quello che sta accadendo con “We Were Here – La storia sconosciuta degli Africani nel Rinascimento europeo”, il documentario di Fred Kudjo Kuwornu che ha completato la distribuzione teatrale qualificante necessaria per essere considerato agli Oscar 2026 (nella categoria Best Documentary Feature) che si terranno al Dolby Theatre di Los Angeles il prossimo 15 marzo 2026.
Fred Kudjo Kuwornu è nato e cresciuto a Bologna, figlio di un cardiochirurgo ghanese emigrato in Italia nel 1965 per studiare medicina e di una madre ebrea sefardita italiana, porta con sé una triplice cittadinanza (italiana, ghanese e statunitense) che riflette la complessità delle identità nella diaspora contemporanea.
Per chi segue il lavoro di Kuwornu da anni, questa notizia non è una sorpresa: è una conferma. Il regista afro-italiano, già noto per documentari come “18 Ius Soli” (2011) e “Inside Buffalo” (2010), ha costruito la sua carriera dissotterrando verità scomode e narrazioni rimosse. Nel 2007 ha lavorato come assistente alla produzione sul film di Spike Lee “Miracle at St. Anna”, che lo ha ispirato a dedicarsi al cinema documentario. Con “We Were Here”, Kuwornu compie un’operazione storiografica e cinematografica di grande rilevanza: dimostra, documenti alla mano, che la presenza africana nel Rinascimento europeo non fu solo marginale o aneddotica.

Il suo film, che riscrive la geografia del Rinascimento, infatti non è un semplice documentario: è un’operazione di archeologia visiva che attraversa sei paesi europei (Italia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi) per raccontare la presenza strutturale, non episodica, degli africani nel Rinascimento e a scoprire le storie straordinarie di europei africani che non erano solo servitori o schiavi, ma anche diplomatici, artisti, studiosi e cavalieri. Inserendosi così in quel filone di studi che negli ultimi anni ha messo in luce una presenza africana nel Rinascimento europeo più ampia e diversificata di quanto si credesse.
Un tassello fondamentale nella narrazione afro-europea finalmente sotto i riflettori di Hollywood
Il racconto esplora figure come Alessandro de’ Medici, il primo Duca di Firenze di origini miste, San Benedetto il Moro, un frate siciliano venerato in Italia e nelle Americhe, e Juan de Pareja, il pittore immortalato da Velázquez che divenne poi un artista di successo.
Alessandro de’ Medici, nato a Firenze nel 1510, soprannominato “Il Moro” per la sua carnagione scura, fu il primo Duca di Firenze con il cognome Medici. Da sempre al centro di un dibattito storiografico sulle sue origini. Sua madre era Simonetta da Collevecchio, una domestica della famiglia Medici che si crede fosse un’ex schiava di origini nordafricane, anche se alcune fonti ipotizzano questa tesi come costruzione politica. Nel 1532, all’età di 22 anni, Alessandro divenne duca ereditario, segnando la fine della Repubblica fiorentina e l’inizio della dinastia Medici a Firenze, una monarchia che durò oltre 200 anni.

La scoperta a Venezia
Nel 2024, Adriano Pedrosa selezionò “We Were Here” di Fred Kudjo Kuwornu per essere esposto al Padiglione Centrale della 60ª Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, “Foreigners Everywhere”. Il solo fatto di essere stato invitato al Padiglione Centrale della Biennale di Venezia dice molto sulla forza dirompente di questo lavoro.
“Una linea invisibile separa due percezioni leggermente diverse tra l’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Italia, Grecia) e l’Europa settentrionale (Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Germania) – racconta Fred Kudjo Kuwornu .
Sebbene l’Europa del Sud sia stata, storicamente e numericamente, più esposta alla presenza africana sin dall’Impero romano, sembra aver “scoperto” la presenza nera solo negli ultimi vent’anni, con i flussi migratori. Si autodefinisce bianca, pur non essendolo mai stata davvero, dopo secoli di mescolanze.
L’Europa del Nord, invece, ha una maggiore familiarità e consapevolezza della multietnicità, pur portando in molti casi una responsabilità più diretta nel colonialismo, nello sfruttamento del corpo nero e nella costruzione delle gerarchie razziali.
Per me, questo film è stato fondamentale per mettere in discussione il concetto di “europeo” ancora più di quello di “italiano”, “spagnolo” o “tedesco”. Dietro la parola “europeo” si nasconde ancora oggi l’idea che essa equivalga esclusivamente a “bianco”. Il mio lavoro mira a smantellare questa convinzione, rivelando l’intreccio complesso e multiculturale che è sempre stato al cuore dell’identità europea”

Un metodo: l’archeologia visiva
Il film ha richiesto un lungo processo di sviluppo, traendo ispirazione da numerosi progetti precedenti, tra cui il lavoro collaborativo degli storici dell’arte in “The Image of the Black in Western Art” di Harvard, curato dal Dr. David Bindman e dal Dr. Henry Louis Gates Jr.
L’obiettivo del film va oltre l’indagine pedagogica e storica di questa presenza africana in Europa. Mira piuttosto a contestualizzarla all’interno della narrazione europea contemporanea, dove la presenza africana è spesso percepita come straniera, percezione aggravata dall’amnesia sul colonialismo europeo e sulla presenza africana di lunga data nell’Europa meridionale, risalente all’Impero Romano.
Profumo di Hollywood
Concorrere alla selezione ufficiale degli Oscar è già un traguardo monumentale per un documentario indipendente che parla di temi scomodi. Il cinema che sfida le narrazioni dominanti raramente riceve questo tipo di riconoscimento istituzionale. Ma attenzione: essere nella selezione non significa automaticamente arrivare alla nomination finale. Ma Fred Kudjo Kuwornu ha già vinto qualcosa di più importante: ha riportato alla luce una verità che cambia il modo in cui guardiamo al Rinascimento, all’Europa, all’Africa.
“We Were Here” non è solo un film sull’Africa nel Rinascimento europeo: è un film sul presente. Dimostra che la presenza africana in Europa non è un fenomeno recente, non è un’invasione, non è un’emergenza.
Un film che in fondo che dice agli europei: “Eravamo qui. Siamo sempre stati qui”. E lo dice con la forza delle immagini, dei documenti, delle testimonianze.


