Sudan: ecco la repressione del regime che spara sui dimostranti

di Raffaele Masto

La repressione era annunciata. Addirittura attesa dai dimostranti che avevano preso coscienza, dopo il successo dello sciopero generale di due giorni, della loro forza e dell’adesione popolare alla loro lotta.  Dall’altra parte i militari avevano capito che non c’erano margini di mediazione. I dimostranti, riuniti nell’Alleanza per la Democrazia e la Libertà, non avrebbero accettato niente di meno che l’uscita di scena immediata e totale del vecchio regime e la costituzione di un Consiglio transitorio di civili per portare il paese alle elezioni fra tre anni.

Così è scattata la repressione. Le forze di sicurezza sono intervenute per rimuovere il presidio davanti al quartier generale delle forze armate. Presidio che è stato montato a febbraio nella piazza del nemico, i militari, che è stato frequentato da decine di migliaia di persone, che è diventato il simbolo della lotta e che il regime non aveva osato toccare. I generali, a qualche ora dall’intervento, hanno detto che l’obiettivo delle forze di sicurezza era un gruppo di delinquenti che stazionava davanti al presidio e che minacciavano la sicurezza. Ovviamente una versione non credibile, addirittura patetica.

La crisi sudanese è una sorta di simbolo per tutta l’Africa. E’ cominciata con una rivolta per l’aumento del prezzo del pane e della benzina, è stata “conquistata” dalla società civile, dalla mitica associazione degli artigiani sudanesi che hanno riempito di obiettivi politici la rivolta: via i militari, via la legge coranica, apertura di trattative per la fine delle tre guerre – unico caso nel mondo – che si combattono sul territorio sudanese, quella del Darfur, quella del sud Kordofan sui monti Nuba, quella del Blue Nile. Insomma l’Alleanza per la Democrazia e la Libertà, espressione più genuina della società civile, vuole che quella rivolta si trasformi in una vera Rivoluzione. All’inizio i dimostranti chiedevano anche che il governo fosse costituito per il 40% da donne e che libri e cultura occidentale avessero accesso e dignità nel paese.

Per i militari richieste inaccettabili. Hanno cercato di prendere tempo. Dovrebbero buttare all’aria trent’anni di potere e accettare di lasciare il potere dopo avere distribuito privilegi, vantaggi e business alle loro famiglie allargate e al loro entourage.

La repressione di oggi arriva poi dopo che nella crisi sta prendendo forma anche un conflitto esterno che divide l’intero mondo arabo. Il regime ha chiuso la TV del Qatar Al Jazira. Lo ha fatto dopo che il nemico giurato del Qatar, l’Arabia Saudita ha elargito un mega prestito di tre miliardi di dollari ai militari che, evidentemente, si sono sentiti forti per lanciare la repressione.

Il Sudan per la sua collocazione geografica vive due dinamiche: quella africana, legata al Corno d’Africa e al Golfo, e quella maghrebbina dove una lotta simile, quella dell’Algeria, ieri ha ottenuto un’altra vittoria con l’annullamento delle elezioni.

Oggi però è andata in scena la repressione. L’esito della lotta popolare sudanese avrà conseguenze in diversi teatri

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