Sud Sudan: una crisi senza fine?

di claudia
rifugiati

Di Federico Pani Centro studi AMIStaDeS

Il protrarsi del conflitto e le crisi alimentate dal clima stanno incrementando le tensioni sociali e l’emergenza sfollati nel Sud Sudan. Il più giovane stato al mondo, meta di un recente viaggio apostolico di Papa Francesco nel febbraio scorso, vanta una serie di tristi primati: ultimo in classifica nell’Indice di sviluppo umano dove l’83% della popolazione vive sotto la soglia di povertà a causa dei continui conflitti che feriscono la vita dei sud-sudanesi. Tensioni che potrebbero inasprirsi dopo quanto avvenuto nel vicino Sudan.

Il Presidente del Sud Sudan Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar, in silenzio, assorti, hanno ascoltato il disperato appello lanciato da Papa Francesco il 3 febbraio scorso: “A voi, che avete firmato l’Accordo di pace, vi chiedo, come fratello, rimanete nella pace”.

Il conflitto sud sudanese affonda le sue radici in decenni di storia, caratterizzato da uno stato di guerra perenne. La risoluzione del 2005, con un accordo di pace tra le due parti, sembrava essere riuscita a porre fine alla sanguinosa guerra, che per decenni aveva lacerato le terre sudanesi, tra le regioni del nord del Paese da un lato e quelle del sud, dall’altro, separate da marcate differenze istituzionali, religiose e linguistiche, con lo stesso fronte del sud diviso dalla tensione tra le due etnie, i Dinka e i Nuer.

L’11 luglio 2011 il fronte del sud otteneva la sua indipendenza: nasceva così lo stato del Sud Sudan, il Paese più giovane al mondo. La tregua fu breve visto come le divisioni interne lacerarono di fatto la scena politica del neonato Paese dove emersero fin da subito due leader, Salva Kiir, di etnia dinka, e Riek Machar, di etnia nuer. La povertà dilagante, l’assenza di infrastrutture, mancanza di servizi fecero precipitare il Paese in una nuova guerra civile dai tratti genocidari.

La piaga degli sfollati e degli effetti del cambiamento climatico.

Secondo i dati riportati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, su un totale di 13 milioni di abitanti sono circa 8,9 milioni i sud-sudanesi che necessitano di assistenza umanitaria; 2,3 milioni i rifugiati all’estero, specie in Uganda, Etiopia, Kenya e Repubblica Democratica del Congo; 2,2 milioni gli sfollati interni. La crisi dei rifugiati in Sud Sudan rimane infatti la più grande in Africa.

Sawibu Rashidi è fuggito nella vicina Repubblica Democratica del Congo (RDC): qui a Biringi svolge il ruolo di imam locale e di leader della comunità di rifugiati. “Sono a capo di una comunità musulmana del Sud Sudan, ma qui nella RDC preghiamo insieme nello stesso spazio dei musulmani congolesi. Allo stesso modo, i cristiani della mia comunità pregano con i cristiani locali e condividiamo tutti un unico mercato”, dice Sawibu.

Jokino Othong Odok ha invece cercato rifugio in un campo per sfollati delle Nazioni Unite all’interno del Sudan meridionale. Nel 2013, prima dello scoppio del conflitto, Jokino lavorava per la diocesi cattolica di Malakal, servendo la sua comunità nell’ambito di un’organizzazione ecclesiale. Ora vive con otto membri della famiglia nel luogo di protezione dei civili (POC) di Malakal, nello Stato dell’Alto Nilo del Sudan, un campo per sfollati protetto dalle forze di pace delle Nazioni Unite. L’uomo non può ancora tornare a causa delle persistenti tensioni etniche. “Siamo stufi di vivere nel POC”, dice Jokino. “Abbiamo le nostre case nella città di Malakal, che ora non possiamo occupare perché altre persone le stanno occupando. E perché lì non c’è protezione per noi”, dice.

La fragilità politico-istituzionale e la dilagante corruzione interna al Paese hanno favorito infatti l’insorgere di nuove tensioni che hanno portato al rinvio delle elezioni programmate per il 2020.

A livello locale gli scontri non si sono mai fermati, neppure dopo gli accordi di pace del 2018. I venti di guerra soffiano ancora nella regione di Equatoria, dove aspri conflitti si consumano tra la popolazione locale, simpatizzante della fazione Nuer, e i Dinka, emigrati in massa in quelle terre a causa della crisi climatica.

All’instabilità politico-istituzionale si aggiunge ora anche la piaga degli effetti del cambiamento climatico che flagella la produzione agricola e minaccia la sicurezza alimentare del Paese. Il Sud Sudan rientra a pieno titolo nel triste primato di essere uno dei Paesi più martoriati dall’irregolarità climatica nel Corno d’Africa, insieme alla Somalia: su di un territorio di 640.000 km² (più del doppio del territorio italiano), piogge torrenziali e alluvioni devastanti hanno infatti flagellato le terre, distruggendo abitazioni, infrastrutture e raccolti. L’impatto di questi fenomeni sulla crisi alimentare è stato gravissimo: secondo il Global Report on Food Crisis del 2022, 6,6 milioni di abitanti del Paese hanno patito una situazione di insicurezza alimentare severa e quasi un milione e mezzo i bambini risultano essere colpiti da malnutrizione severa. Dati drammatici a cui si aggiunge il fatto che più del 70% dei bambini in età scolastica non ha la possibilità di frequentare la scuola e ricevere un’istruzione.

Alcune iniziative: aiuto alla popolazione e favorire la pace.

Alcune iniziative, come quella di Caritas Sud Sudan, attiva sin dal 2011 nella risposta umanitaria si prodigano per cercare di porre fine all’emergenza alimentare; alla distribuzione di beni di prima necessità; fornitura di mezzi di sussistenza. Non solo. Durante gli scontri del 2013, Medici con l’Africa Cuamm cercò di garantire lo svolgimento delle attività negli ospedali e l’assistenza umanitaria agli sfollati. La presenza del Cuamm sul territorio ha cercato di favorire la diffusione di un’assistenza sanitaria quanto più capillare possibile con un’attenzione particolare alle fasce più deboli e ai soggetti più vulnerabili, come mamme e bambini: campagne di cliniche mobili (outreaches) hanno cercato di portare agli sfollati beni di prima necessità, fornendo loro un’educazione sanitaria, vaccinazioni e screening dello stato nutrizionale, in particolare per i più piccoli. Amref è invece impegnata dal 1972 nel sostenere la ricostruzione del sistema sanitario del Sud Sudan, per assicurare la promozione della salute attraverso l’incremento dell’accesso ai servizi sanitari di base.

Nel 2020 la Comunità di Sant’Egidio ha avviato invece un processo di pace parallelo a quello relativo all’R-ARCSS del 2018 ( Revitalized Agreement on the Resolution of the Conflict in South Sudan) nel tentativo di portare al tavolo negoziale anche le parti escluse da quell’accordo, nel frattempo riunitesi nella South Sudan Opposition Movements Alliance (SSOMA). Al di là di alcuni successi, come ad esempio la firma della Dichiarazione e della Risoluzione di Roma da parte del governo sud sudanese, della SSOMA e degli altri ex-movimenti ribelli che partecipano al Governo Transitorio di Unità Nazionale (SPLM-In-Opposition e National Salvation Alliance), la SSOMA ha continuato a esprimere scetticismo sulle politiche del governo e sulla reale buona fede dei leader politici di portare avanti un processo inclusivo.

Rimarchevole è anche l’iniziativa dell’UNHCR che insieme a 108 partner, tra cui attori umanitari, dello sviluppo e della società civile, ha lanciato il Piano di risposta regionale ai rifugiati 2023, chiedendo 1,3 miliardi di dollari per fornire assistenza e protezione salvavita a oltre 2,2 milioni di rifugiati e richiedenti asilo sud sudanesi che vivono nella RDC, in Etiopia, Kenya, Uganda e Sudan. L’appello è destinato a sostenere i Paesi limitrofi che ospitano i rifugiati sud-sudanesi e integra il Piano di risposta umanitaria 2023, che mira a rispondere ai bisogni umanitari all’interno del Sud Sudan.

Verso un futuro di pace?

Il 2022 avrebbe dovuto essere l’anno delle elezioni, ma il 4 agosto scorso Salva Kiir e Riek Machar (nella foto, in alto), di comune accordo, hanno esteso di due anni il periodo di transizione. La situazione del Sud Sudan resta quindi fortemente instabile anche se per il momento sembra improbabile una guerra su larga scala nel Paese. Il coinvolgimento nel processo di pace delle forze che fino a questo momento sono state escluse, così come la capacità di promuovere riforme politiche ed economiche di lungo periodo sarà determinante per evitare un nuovo conflitto. Così come una buona integrazione tra persone di diversa provenienza e fede, come avviene ad esempio a Biringi, come ci ha raccontato Sawibu nella sua testimonianza.

L’ONU continua ad insistere sulla necessità di implementare l’accordo di pace, mentre Sant’Egidio continua a lavorare sottotraccia. Un impegno che potrebbe replicare il successo del Mozambico e portare finalmente la pace nel Paese più giovane del mondo.

Bibliografia

Federica Baron Cardin e Federico Mazzarella; Sud Sudan, è l’ora della Pace!; Italia Caritas; 6 febbraio 2023.

https://www.italiacaritas.it/blog/2023/02/06/sud-sudan-e-lora-della-pace/

SUD SUDAN, ASSISTENZA AGLI SFOLLATI; Medici con l’Africa Cuamm.

https://www.mediciconlafrica.org/blog/progetti/sfollati-sud-sudan/

L’IMPEGNO OGGI IN SUD SUDAN; Medici con l’Africa Cuamm.

https://www.mediciconlafrica.org/blog/cosa-stiamo-facendo/inafrica/in-sud-sudan/

Sara de Simone; Sud Sudan, dieci anni dopo; Ispi; 1 luglio 2021.

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sud-sudan-dieci-anni-dopo-31032

10 cose da sapere sul Sud Sudan; Amref; 20 febbraio 2020.

https://www.amref.it/news-e-press/news-e-storie/cosa-sapere-sud-sudan/

Gabriele Rizzi; Quale pace per il Sud Sudan?; Geopolitica.info; 28 novembre 2022.

https://www.geopolitica.info/pace-sud-sudan/

Charlotte Hallqvist, Joel Smith nella Repubblica Democratica del Congo; Oltre i confini, le persone sfollate del Sud Sudan chiedono la pace; Unhcr; 16 marzo 2023.

https://www.unhcr.org/it/notizie-storie/storie/oltre-i-confini-le-persone-sfollate-del-sud-sudan-chiedono-la-pace/

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