Quando il cellulare è uno status symbol

di Enrico Casale
cellulare

di Mario Ghirardi

Oggi lo status symbol più in voga in Ghana è farsi seppellire in una bara con il coperchio dipinto con immagini che riproducono video e tastiera di un cellulare oppure di una scintillante limousine Mercedes o di un aereo executive (come era consuetudine dei più abbienti sino a poco fa). Equivalente sinonimo di benessere è possedere 4 o 5 cellulari da mostrare appena possibile, sedendosi al tavolo del proprio interlocutore, non importa se gli apparecchi siano funzionanti o meno. Allo stesso modo è importante possedere, anche per chi vive nelle in povere abitazioni con il tetto di lamiera, una raccolta di vecchi videoregistratori, tv, radio, nonostante siano inutilizzabili, non solo perché obsoleti, ma anche perché in quelle case, oltre all’acqua potabile, manca l’elettricità indispensabile per farli funzionare.

La diffusione dei cellulari è diventata spasmodica e, se nei villaggi rurali c’è campo solo a tratti, non per questo si rinuncia a telefonare. Chi ne possiede uno si arrampica su massi e alberi pur di sfruttare il poco segnale che sempre latita nell’Africa subsahariana. L’intraprendenza degli africani si manifesta nei modi più svariati. Gli esempi sono tanti, qui uno per tutti. Quando un uomo scopre per caso che un suo ospite è riuscito a ricevere una chiamata in casa sua, l’abitazione si trasforma ben presto in un call box. L’uomo compra un cellulare e lo tiene a disposizione di chi vuol chiamare i propri contatti. Il padrone di casa da quel momento diventa il referente di una vasta area, a cui si appoggia persino chi ha qualche affare da svolgere in zona, utilizzandolo come intermediario di compravendite. E se dunque il call box rurale sta all’ombra di una capanna, in città sta invece all’ombra di un grande ombrellone modello spiaggia al riparo del quale sul bordo strada una donna mette a disposizione il suo mobile appoggiato su un tavolino tra pacchi di noccioline e alimenti vari, altro piccolo business sempre correlato alle chiamate.

«Possiamo affermare che la diffusione vera del cellulare nell’Africa centrale si è sviluppata negli ultimi 15 anni – afferma Giovanna Santanera, antropologa e ricercatrice all’Università di Milano Bicocca, che ha svolto approfonditi studi sui media del continente con particolare riferimento a Camerun e Ghana – e ha coinciso con l’uso diffuso del telefono trasversale a tutte le classi sociali. Teniamo conto che il telefono fisso non è mai stato alla portata di nessuno. In origine era una tecnologia di dominio dei colonizzatori che coinvolgeva i locali, nella migliore delle ipotesi soltanto come tecnici. Poi è passata in mano ad una ristrettissima èlite, che, unica, potè successivamente accedere anche ai primi, costosissimi cellulari di metà anni Ottanta».

Attualmente sono oltre cento le compagnie telefoniche operanti in Africa che generano profitti molti alti proprio puntando sui ceti più bassi, sempre alla ricerca di campo. La penetrazione di accesso ai telefonini è ormai arrivata al 76% della popolazione, ovvero 960 milioni di persone, anche se questo non significa che, nonostante i bassi costi di 20 euro medi ad apparecchio, ognuno ne possieda uno in uso esclusivo, come abbiamo già avuto modo di renderci conto dal racconto precedente.

Intanto di pari passo procede la diffusione degli smartphone in una popolazione per la metà ormai urbanizzata e di età per metà inferiore ai 14 anni. Le spedizioni di apparecchi dalle multinazionali verso l’Africa sono in aumento di oltre il 5% nell’ultimo anno, ci dicono le statistiche, anche se è previsto un rallentamento pur solo temporaneo in questo trimestre, specie in Nigeria e Sud Africa, a causa delle tensioni sul commercio globale innescate da Usa e Cina. Le reti di telecomunicazione sono infatti in espansione con il 4G, i prezzi di apparecchi e piani tariffari scendono e la popolazione giovane, che conta gli acquirenti più interessati, è in veloce aumento.

Il tentativo, si vedrà quanto riuscito, di molti imprenditori del settore è adesso produrre telefonini in loco più economici e con più ampia durata della batteria, mettendosi in concorrenza con colossi come Samsung, Apple e la cinese Transsion, qui leader nel settore. In particolare, sembrano essersi mossi Paesi come Egitto e Kenya, dove esiste il più grande operatore locale di rete mobile.

Più smartphone vuol dire più internet su mobile e ciò favorisce di conseguenza la creazione di sempre più numerose App studiate da nuove start up per soddisfare le particolari esigenze locali (pensiamo al servizio taxi che spesso si svolge solo con moto anziché con auto, oppure alle piccole transazioni economiche effettuate trasferendo traffico telefonico).

Facebook, You Tube e WhatsApp la fanno comunque da padroni come nel resto del mondo. Il «Wall Street Journal» ha recentemente scritto che Facebook sarebbe pronta a costruire un sistema di cavi sottomarini che circondi il continente sul Mediterraneo e sulle coste da Est a Ovest con punti di accesso distribuiti per tagliare i costi di connessione in banda larga e migliorare la ricezione. Progetti che non sono neppure isolati perché anche altri operatori americani e cinesi stanno trattando per iniziative analoghe sulla costa atlantica e sotto l’oceano indiano. Infatti, se nel resto del mondo la crescita di utenti a ritmi vertiginosi è finita, in Africa ci sono margini ancora amplissimi di sviluppo specie se le infrastrutture si dimostreranno adeguate. Se la media globale di penetrazione degli abbonati unici è del 66 per cento, in Africa risulta ancora sotto di ben 20 punti, un dato significativo.

«Naturalmente – prosegue Santanera – questa riappropriazione delle tecnologie da parte della base significa andare incontro a profonde trasformazioni sociali e politiche. La rivoluzione digitale è rivoluzione antropologica, che tocca tutti al contrario di quanto nei secoli abbia fatto la scrittura».

«Quest’ultima in Africa, e parlo della Regione dei Grandi laghi di cui mi sono particolarmente occupata nella mia trentennale esperienza – aggiunge Cecilia Pennacini, antropologa e docente all’Università di Torino – è arrivata solo con i mercanti arabi di metà Ottocento. Si è affiancata alla tradizione orale sino ad allora quasi unica fonte di conoscenza in una società governata sin dal 1300 da regni raffinatissimi e dove la comunicazione era affidata agli spostamenti delle persone esclusivamente a piedi. Il colonialismo e i missionari portarono la religione del libro. Ma solo l’avvento della comunicazione via radio costituì la vera rivoluzione della conoscenza, che passò così dall’oralità direttamente alla radio, alla tivu e ai video senza passare né attraverso la scrittura, né attraverso la stampa. La diffusione della radio a transistor degli anni Sessanta del Novecento fu in particolare rivoluzionaria perché permise di superare anche la scarsa diffusione dell’elettricità nelle zone rurali e nelle stesse città».

Sviluppare il proprio pensiero utilizzando nuovi canali può comportare persino talvolta un cambiamento del pensiero stesso – concludono le ricercatrici – Tuttavia sarebbe sbagliato credere che la cultura tradizionale stia scomparendo, anzi. La visione legata agli antenati che gli africani possiedono dalla notte dei tempi si trasmette magari oggi in forme nuove, ma è ben viva negli animi. Gli africani sono orgogliosi del proprio passato, gli spiriti degli antenati sono ovunque, ma le culture non sono statiche. I nuovi media si inseriscono in questo contesto con elementi di rottura e altri di continuità.

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