Investire in Africa per far fronte al cambiamento climatico

di AFRICA

Di fronte alle evidenti conseguenze del riscaldamento globale, la Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (Unctad), nella sua relazione annuale sul commercio e lo sviluppo 2019, pubblicata ieri, ha evidenziato le sfide che i Paesi in via di sviluppo devono affrontare per partecipare alla difesa dell’ambiente. «La protezione del clima richiede una nuova ondata di ingenti investimenti per riformare l’energia e altri settori che emettono carbonio», si legge nel rapporto, secondo quanto riporta Jeune Afrique.

Il problema è, secondo quanto sostenuto dagli analisti dell’Unctad, che l’indebitamento dei Paesi meno ricchi è esploso dopo la cancellazione del debito degli anni Duemila, e che le capacità di finanziamento di questi Paesi sono molto ridotte, nonostante il mantenimento di tassi molto bassi sui mercati. Per esempio, il debito pubblico sudafricano è aumentato dal 31% del Pil nel 1980 al 53% nel 2017, e il debito privato (privati ​​e imprese) è salito anch’esso dal 48 al 71%.

«Se vogliono soddisfare le esigenze di investimento per raggiungere i quattro obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite entro il 2030 (eliminazione della povertà, promozione della nutrizione, costruzione di un vero sistema sanitario, di un sistema di istruzione di qualità), il loro obiettivo resta difficile, al momento», afferma Rachid Bouhia, economista e coautore del rapporto.

Per esempio, se Algeria, Benin, Camerun, Etiopia, Kenya, Malawi, Mali, Uganda e Tanzania volessero riuscirci, «dovrebbero crescere del 21% all’anno senza aumentare il loro rapporto debito/Pil del 47% o aumentare tale rapporto al 185%. Nessuno di questi due scenari è realistico», afferma il rapporto.

L’Unctad ha presentato cinque soluzioni per rimediare a questa carenza di risorse. «Dovremmo prima di tutto istituire un programma di prestito globale che consenta ai Paesi in via di sviluppo di prendere prestiti a condizioni agevolate», ha dichiarato Rachid Bouhia. Questo fondo sarebbe alimentato dall’aiuto allo sviluppo dei Paesi donatori, che varrebbe lo 0,7% del loro reddito interno lordo, come avevano promesso.

Il secondo passo sarebbe aumentare i diritti speciali di prelievo (Dsp) e dedicarli alla protezione dell’ambiente. Terza misura: «Alleviare il debito dei Paesi meno sviluppati senza condizioni o criteri di ammissibilità troppo restrittivi», ha aggiunto Rachid Bouhia. Quarta misura: rafforzare la cooperazione monetaria tra i Paesi della stessa regione per rifinanziare e promuovere il commercio intraregionale al fine di creare catene del valore e istituire autentici sistemi di pagamento regionali e sindacati di compensazione interni. Quinto e ultimo passo: «Dobbiamo rivedere il quadro legislativo del meccanismo di riprogrammazione del debito in caso di difficoltà nel rimborso».

Se gli Stati riusciranno a riprendere il controllo nella finanza, come esorta l’Unctad, la scommessa di ottenere queste riforme ambientali forse non sarà vinta nel 2030, ma l’Africa avrà un po’ più di mezzi per prendere parte al salvataggio del pianeta, di cui sarà la prima beneficiaria.

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