Il luminoso Medioevo africano

di claudia
medioevo

Nei secoli in cui l’Europa era lacerata dalla peste e da guerre fratricide, in Africa prosperavano regni grandiosi e si affermavano civiltà destinate a lasciare un segno indelebile nella storia. Una storia che abbiamo colpevolmente ignorato

di Marco Aime

Nei manuali di storia adottati nelle nostre scuole, nella parte riguardante il Medioevo l’Africa non compare per nulla. A dire il vero ha poco spazio anche nelle pagine relative ad altre epoche, ma nel Medioevo non figura proprio. Eppure qualcosa è accaduto da quelle parti, ma lo sguardo etnocentrico che condiziona la nostra visione fa sì che tutti conosciamo Marco Polo e di conseguenza qualcosa sulla Cina, ma nessuno conosca Ibn Battuta, viaggiatore e cronista pressoché coevo del veneziano, che percorse a dorso di cammello, in barca, a piedi, le piste del Medio Oriente e dell’Africa.

Noi fuori dalla storia

Nel I secolo d.C., mentre il cristianesimo si diffonde in Medio Oriente e l’Impero romano conosce la sua seconda età aurea che porterà al regno dell’imperatore filosofo Marco Aurelio, nell’Africa orientale, in un vasto territorio fra Etiopia, Eritrea, Sudan ed Egitto raggiungeva il suo apice di potenza e ricchezza il primo regno cristiano ad apporre sulla propria moneta il simbolo della croce: Axum. Non era, peraltro, il solo regno della regione, e la sua espansione avvenne anche a danno dei regni di Meroe e di Kush, anch’essi nati sulla base dei commerci intercontinentali. Grazie alla sua posizione strategica, affacciato com’era sul Mar Rosso di fronte alla penisola arabica, il regno axumita sviluppò una forte attività commerciale, che coinvolgeva molti Stati asiatici, fino all’India, così come i Paesi del Mediterraneo orientale.

Foto di XRPICTURES/LightMediation

Il Mediterraneo è anche il contesto in cui i nostri libri di storia collocano generalmente l’Egitto, dall’antichità ai giorni nostri, dimenticando che l’Egitto è in Africa e che le sue radici vengono da sud. In pieno Medioevo Il Cairo, controllato dai Mamelucchi, era una delle città più importanti del mondo, a cavallo tra Africa, Europa e Asia. Sui suoi mercati si potevano trovare prodotti provenienti dalla Cina come da Venezia (vedi l’articolo sulle perle di vetro di Murano, su Africa 4/2021), il che ci deve fare riflettere sull’immagine di un’Africa “isolata” e fuori dalla storia.

I regni dell’oro

Ed è proprio al Cairo che nel 1324 arriva Mansa Musa, imperatore del Mali, nel suo pellegrinaggio alla Mecca destinato a entrare nella storia e nell’immaginario globale dell’epoca e dei secoli a venire.

La sua carovana di migliaia di cammelli, l’enorme quantità di oro che riversò nella capitale egiziana furono i mattoni su cui si costruì il mito dell’oro africano. Nell’Africa occidentale, infatti, si erano sviluppati diversi regni fondati proprio su questo prezioso metallo: prima del Mali ci fu il regno del Ghana (il suo territorio era più a nord dell’omonimo Stato attuale), la cui capitale, Kumbi Saleh, era un vero e proprio hub commerciale tra il mondo mediterraneo e l’Africa subsahariana. Le rotte sahariane erano percorse ininterrottamente da carovane che trasportavano merci e uomini nei due sensi. In epoca di crociate, quando ai mercati cristiani era vietato fare affari con gli “infedeli” musulmani, erano mercanti ebrei, molti dei quali basati nel Tuat, nell’odierna Algeria, a fare da intermediari e a garantire gli scambi intercontinentali. Ancora una volta vediamo quanto noi europei fossimo connessi con l’Africa, con i suoi regni e imperi, per quanto questi legami vengano oggi troppo spesso ignorati.

Quando, nel 1482, dieci anni prima che Colombo partisse per le Americhe, Diogo Cão costeggia il continente africano, approda al regno del Kongo, nato molti secoli prima dall’alleanza di due regni affacciati sulla costa atlantica. Cão rapì alcuni membri della famiglia reale per condurli in Portogallo. Dopo qualche anno, li riporterà in Kongo e stipulerà un’alleanza fra il suo Stato e questo regno, alleanza che tra l’altro prevedeva la conversione del sovrano kongolese al cristianesimo. Per un periodo piuttosto lungo il regno del Kongo e quello del Portogallo si riconobbero a vicenda, inviando ciascuno i propri ambasciatori nella capitale dell’altro.

Un tassello cruciale

Quando, nel 1979, quella che era chiamata Rhodesia Meridionale prese il nome di Zimbabwe, questo nome suonava sconosciuto ai più. Era il nome dell’antica capitale dell’Impero del Monomotapa, che sorgeva proprio in quella regione a partire dal XV secolo. Fondato sulle ricchezze derivate dall’oro, dal ferro e dal rame, si espanse fino all’attuale Sudafrica. Anche in questo caso il mito dell’isolamento si vede sfatato: il commercio del Monomotapa, grazie alla mediazione degli arabi, che da secoli si erano insediati sulla costa del Mozambico e a Zanzibar, ha fatto sì che tra le rovine in pietra di Great Zimbabwe, la capitale dell’impero, siano state ritrovate moltissime porcellane cinesi.

L’elenco potrebbe continuare, ma ciò che conta è “decolonizzare” il nostro sguardo per rileggere il nostro passato. Passato in cui l’Africa non è un elemento marginale se non ignoto, bensì un tassello fondamentale del sistema di relazioni, a volte anche molto ampie, che da sempre caratterizzano la storia umana. Ricordo una lunga discussione sulla storia con Mohamed Galla Dicko, ex direttore dell’Institut des Hautes Études et de Recherche Islamique di Timbuctu, sulle vicende di questa città così importante proprio in epoca medievale, quando lui mi disse: «Per gran parte della storia Timbuctu è stata in testa alla corsa. Poi la storia ha fatto un’inversione di marcia e noi ci siamo ritrovati in fondo. Chissà – aggiunse allargando le braccia – che la storia non faccia un altro demi-tour…».

Questo articolo è uscito sul numero 6/2021 della rivista. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

Condividi

Altre letture correlate: