Giornaliste marocchine in strada pro aborto

di Enrico Casale
donne del marocco

«Noi, cittadine marocchine, dichiariamo di essere fuori legge». Ondata di sostegno alla giornalista Hajar Raissouni, comparsa ieri davanti ai giudici per la terza udienza del processo che la vede imputata per «aborto clandestino» e «atti contro la morale pubblica».

Un manifesto di solidarietà alla giornalista e a supporto dei diritti di tutte le donne marocchine è stato proposto dalla scrittrice Leila Slimani e dall’attivista Sonia Terrab e firmato in prima battuta da 470 donne. Un atto di autoaccusa per aprire ancora una volta il dibattito sulla discriminazione e sui diritti negati. La raccolta firme intanto ha superato quota 2000. Sono intellettuali, rappresentati della società civile, avvocate e donne comuni, che si autodenunciano: «Siamo tutte fuori legge – scrivono – e lo rimarremo finché questa legge non cambierà». Si riferiscono all’articolo 490 del codice penale che punisce l’adulterio e vieta l’aborto. L’invito a firmare è aperto via posta elettronica all’indirizzo: texte490@gmail.com.

Nel manifesto, pubblicato ieri in prima pagina dal quotidiano francese Le Monde, si legge che «nel 2018 più di 14.500 cittadini sono stati perseguiti per atti contro la morale pubblica, secondo l’articolo 490». Più di tremila sarebbero stati incarcerati per adulterio.

«Ogni giorno si praticano dai 600 agli 800 aborti». La giornalista Raissouni è finita nell’ingranaggio della giustizia il 31 agosto, dopo essersi recata al pronto soccorso per una forte emorragia. Da allora è in prigione e a nulla sono valse le istanze di scarcerazione presentate dai suoi avvocati. Le udienze sono aggiornate di continuo. Quella di oggi si è conclusa con un nulla di fatto; gli avvocati hanno chiesto l’assoluzione dell’imputata, ma i giudici non hanno esaminato a domanda di scarcerazione. Con la donna sono finiti in galera il marito, il medico che l’ha presa in cura e un infermiere.

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