Etiopia: Croce Rossa a Macallè, ospedale al collasso

di Celine Camoin

«Strutture sanitarie paralizzate. Nessuna terapia intensiva. Nessuna unità di chirurgia. Mancano medicinali, acqua corrente, carburante. Da quando gli scontri sono iniziati nel Tigray, medici e infermieri hanno dovuto fare l’impossibile»: poche e concise le parole in un tweet del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr/Icrc) per descrivere l’emergenza sanitaria che sta attraversando la regione settentrionale dell’Etiopia da quando si è acceso il conflitto, oltre un mese fa, tra il governo federale e il Tplf (Tigrayan People’s Liberation Front).

Sabato, per la prima volta, un convoglio di sette Tir della Croce Rossa Internazionale e della Croce Rossa etiope sono giunti nella capitale regionale, Macallè, con materiale sanitario, medicinali e beni di prima necessità, a destinazione della popolazione rimasta intrappolata. Testimonianze in rete, difficilmente verificabili, parlano di civili stremati, al limite della sopravvivenza, a causa della scarsità di cibo e di medicinali. Da circa 40 giorni i rifornimenti al Tigray sono stati impossibilitati dal braccio di ferro tra le truppe fedeli ad Addis Abeba e quelle considerate ribelli del Tplf.  

Il principale ospedale di Macalle, l’ospedale Ayder, è colmo di feriti e questo lo hanno potuto confermare gli operatori della Croce Rossa. «I medici devono fare scelte terribili, selezionare i pazienti che sono in grado di trattare, e quelli per i quali non si può fare nulla. Fanno questa scelta in base al materiale rimasto a disposizione, in base ai black out, in base al disinfettante rimasto per pulire gli strumenti dopo gli interventi» ha raccontato Jeremy England, capo delle operazioni del Cicr.

Secondo le Nazioni Unite, gli scontri hanno avuto «un impatto spaventoso sui civili». Quasi 50.000 persone fuggite dal conflitto hanno già attraversato il confine con il vicino Sudan, mentre preoccupa anche la situazione dei circa 100.000 rifugiati eritrei che vivono nella regione. Il governo di Addis Abeba, che sostiene che i combattimenti sono ormai finiti, invitano gli eritrei a tornare nei campi. Una versione non condivisa dal personale umanitario, che ha in realtà un accesso molto limitato e teme per le condizioni di sopravvivenza.

Condividi

Altre letture correlate: