Centro Studi Idos: «impennata delle cancellazioni all’anagrafe»

di AFRICA
Rapporto Migrazioni Idos

Oban Singh è un bracciante indiano di 25 anni. Il il 6 giugno scorso si è suicidato nell’Agropontino. A lui è stato simbolicamente dedicata la presentazione del XV Rapporto dell’Osservatorio Romano sulle migrazioni del Centro Studi e Ricerche Idos  (realizzato in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici S. Pio V), avvenuto il 18 giugno in una video-conferenza in streaming. «Nella sola area di Sabaudia siamo arrivati a 13 decessi, molti di loro morti suicidi. Joban Singh si è impiccato nel suo appartamento: lavorava dalle 3 di notte alle 22, non era stato pagato dal suo datore di lavoro e si è tolto la vita. Vorrei dedicare questo incontro a lui, emblema di un’immigrazione che non accettiamo, costringendo le persone a una morte anche fisica».

Parole dure, queste, pronunciate dal presidente dell’Idos Luca Di Sciullo, e che anticipano il panorama non certo roseo sulla realtà migratoria emerso dal Rapporto: un documento volto a dare una fotografia della situazione dei cittadini stranieri sul territorio romano e nella regione Lazio, ma che può però considerarsi rappresentativa del fenomeno migratorio a livello nazionale. Il panorama è infatti differenziato, e vede tra la popolazione straniera persone in Italia da molti anni, magari alla seconda o terza generazione (studenti, lavoratori, persone che hanno aperto attività commerciali o acquistato case), e altre meno integrate, ghettizzate e lasciate sole nelle periferie romane. A queste persone, si aggiungono poi coloro che lavorano in condizioni di “para-schiavitù”, a volte invisibili: non solo i braccianti agricoli nelle campagne, ma anche collaboratrici domestiche «recluse nelle case delle nostre famiglie, spesso mal pagate, a lavorare un numero indefinito di ore anche di notte, che hanno difficoltà a creare una rete sociale, a tornare al loro paese, e che talvolta vengono persino molestate sessualmente», precisa Di Sciullo.

I numeri e le novità

Da quanto emerge dal Rapporto, la cui scheda di sintesi è scaricabile dal sito, il Lazio si conferma tra le aree a più elevata presenza di immigrati in Italia. Al 1° gennaio 2019 gli stranieri residenti nel Lazio erano 683.409. In media, rappresentano l’11,6% della popolazione della regione e il 13,2% del totale nazionale: oggi risiede nel Lazio poco più di 1 straniero su 10. I romeni costituiscono un terzo dei residenti (230.000), a cui seguono quattro gruppi asiatici: filippini (6,8%), bangladesi (5,4%), indiani (4,4%) e cinesi (3,7%). Tra i primi 15 paesi di origine dei residenti stranieri in Lazio, i cittadini di nazionalità africana sono egiziani (16.364, di cui 26,9% donne), marocchini (14.577, il 43,9% donne) e nigeriani (10.437, di cui 40,4% donne).

Per quanto riguarda Roma, al 1° gennaio 2019 la città metropolitana contava l’81,5% del totale regionale di residenti stranieri e oltre il 10% di quello nazionale, confermandosi l’area metropolitana con il più alto numero di immigrati. La loro incidenza sul totale dei residenti è del 12,8% e supera tanto la media nazionale (8,7%) quanto quella regionale (11,6%). Le donne rappresentano il 52,6% (Italia: 51,7%) e i minori quasi il 18% (Italia: 20,2%).

Tra gli altri dati presenti nel documento, due attirano l’attenzione: il primo è che nel 2018, in Lazio, per la prima volta il calo della popolazione italiana non è stata compensata dalla popolazione straniera, la cui crescita è stata solo dello  0,6% a fronte di 17.000 residenze in meno. «Questo fatto può essere spiegato non solo dalla non possibilità di ingresso regolare di cittadini stranieri nel nostro territorio per la normativa nazionale e dall’elevata mortalità della popolazione italiana, ma anche dall’emigrazione crescente di italiani che espatriano e si iscrivono all’Aire», spiega Ginevra Demaio, curatrice del Rapporto.

L’altro dato importante da evidenziare è l’impennata delle cancellazioni all’anagrafe di Roma di molti stranieri per irreperibilità o scadenza del permesso di soggiorno: oltre a possibili trasferimenti, «temiamo che siano i primi effetti concreti del Decreto Sicurezza che nel periodo successivo all’emanazione ha determinato allontanamenti forzati da strutture di accoglienza di persone che erano lì con permesso soggiorno di protezione umanitaria (abolito dal decreto stesso, ndr), e che quindi perdono la residenza. Di queste persone abbiamo difficoltà a tenere traccia: chi lavora sul territorio sa che  questi soggetti rappresentano nuove sacche di marginalità, prodotte dalla stessa normativa che voleva ridurre il disagio sociale», commenta Demaio.

Questa ipotesi è avvalorata dai dati delle associazioni e delle realtà che lavorano al fianco degli immigrati, che hanno visto triplicare le utenze di cittadini stranieri in difficoltà presso i loro servizi: Francesco Portoghese, coordinatore degli sportelli legali della onlus A buon diritto, rende noto per esempio come il numero di persone che si sono rivolte alla loro associazione sia passato da circa 150 nel 2018 a 452 nel 2019. A questa situazione, si è aggiunta poi l’emergenza sanitaria: «con il Covid-19 i nostri gruppi di ascolto sono passati da 50-80 utenti a 200, 300, alcuni a 700! Inoltre all’inizio pensavamo di dover costruire una struttura per accogliere le 50 colf e badanti che a causa della quarantena si sono ritrovate in strada. Il Covid ha denunciato le contraddizioni in cui siamo finiti e ora abbiamo bisogno di una marcia in più», afferma Mons. Giampiero Palmieri, delegato per la Pastorale dei Migranti e dei Rom della Diocesi di Roma. 

Più diritti per tutti

Decreto Sicurezza e Covid tuttavia non sono le sole cause di una situazione alquanto critica: tra le conclusioni del Rapporto, la dottoressa Demaio illustra la non corrispondenza tra un fenomeno migratorio ormai radicato e stabile in Lazio e l’offerta di nuove possibilità di inserimento sociale, occupazionale e di studio per immigrati anche di nuova generazione. Inoltre, si sottolinea come il terzo settore si sostituisca sempre più alle politiche: «la politica oscilla tra i prevalenti interventi di carattere securitario-repressivo o di controllo e in alcuni casi iniziative più umanitarie, che però non danno le risposte che servirebbero. Questi atteggiamenti sembrano affidare al terzo settore un ruolo di surrogato di quello che manca e andrebbe costruito: il riconoscimento dei diritti e della piena cittadinanza per cittadini che hanno una diversa nazionalità, ma che fanno parte stabilmente del tessuto sociale e contribuiscono all’economia e alla buona convivenza di tutti noi». Le fa eco Portoghese: «La miglior politica da mettere in campo è investire sul riconoscimento e sul rispetto dei diritti, in primis quello di poter essere regolare, facilitando l’ingresso e l’ottenimento del permesso di soggiorno dei cittadini stranieri in modo da creare una situazione win win. Una delle strategie su cui puntare è la formazione in materia di Diritto dell’immigrazione rivolta alla classe politica e alla pubblica amministrazione: il fenomeno migratorio è cambiato dal 1998, anno della prima legge organica sull’immigrazione».

Con un noto riferimento cinematografico, l’augurio finale dei relatori è che Roma, città aperta, possa esserlo davvero e sempre di più dal punto di vista dell’inclusione.

(Luciana De Michele)

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