15/09/13 – Ruanda – Violenze alla vigilia delle elezioni parlamentari

di AFRICA

Domani in Rwanda si tengono le elezioni parlamentari, un test per la tenuta del governo di Paul Kagame, di fatto al potere dal 1994, ovvero dalla fine della tragica guerra civile che coinvolse Hutu e Tutsi. Alla vigilia del voto due persone sono morte nella capitale, Kigali, per l’esplosione di alcune granate. Ma l’appuntamento elettorale va guardato anche nella cornice degli scontri ancora in corso tra opposte fazioni nell’Est della Repubblica Democratica del Congo. Sulla situazione ruandese, Davide Maggiore ha intervistato Carlo Carbone, docente di Storia dell’Africa presso l’Università della Calabria:

R. – Le poste in gioco direi che sono due: lo sviluppo della politica di Kagame all’interno del Paese e il tentativo di trascinare la maggioranza dei ruandesi sul consenso alla politica internazionale del Rwanda. Per quanto riguarda la politica interna, da quando Kagame è andato al potere ha fatto dei tentativi più o meno formali, più o meno sostanziali – gli aggettivi vengono usati rispettivamente dai detrattori o dai sostenitori – di produrre una politica interna che attenuasse il pericolo di una ricaduta nel conflitto etnico. Il Rwanda rimane pur sempre un Paese nel quale c’è una grande maggioranza di hutu e una relativa minoranza di tutsi – importante da un punto di vista economico e culturale, ma pur sempre una minoranza – che non hanno ancora totalmente messo da parte gli elementi del conflitto che hanno caratterizzato la vita interna del Paese dall’arrivo dei colonialisti.

D. – A quasi 20 anni dai fatti del 1994 come può essere descritta oggi la convivenza tra hutu e tutsi all’interno del Rwanda?

R. – La situazione odierna delle relazioni interetniche è migliore rispetto a 20 anni fa. Quando il fronte tutsi vinse la guerra, tutti si aspettavano che ripristinasse – al contrario – quello che gli hutu avevano praticato fino a quel momento: escludesse cioè totalmente gli hutu. La cosa non è avvenuta. Ora che questo abbia avuto pieno successo, sarebbe una vera esagerazione; ma le cose sono molto migliorate. La mia impressione è che tenderanno a migliorare se le relazioni internazionali non peggiorano. Le relazioni internazionali nella regione – cioè quelle fra il Rwanda e il Congo – sono caratterizzate da pressioni fortissime di natura economica e queste pressioni di natura economica sono la pedina che ambedue i Paesi tentano di giocare per salvaguardare le loro relazioni reciproche e soprattutto le relazioni di potere: il Congo è un gigantesco elefante rispetto alla pulce che è il Rwanda, sul suo confine orientale. E’ la divisione all’interno del Congo che costituisce l’elemento politico importante per il Rwanda per assicurarsi un vicino disposto a trattare.

D. – Cosa c’è da aspettarsi verosimilmente per il futuro, proprio adesso che la crisi in Kivu sembra, in qualche modo, arrivata a una svolta con le azioni della Brigata di intervento dell’Onu contro questo movimento – l’M23 – che, secondo i rapporti delle stesse Nazioni Unite ha nel Rwanda uno dei suoi principali sponsor?

R. – Nella misura in cui l’M23 fa un po’ il gioco del governo del Rwanda, che attraverso questo tipo di azioni di disturbo si assicura il ben volere – obtorto collo – del gigante congolese. L’M23, una volta che fosse messo a tacere, potrebbe essere sostituito da un altro gruppo, con un altro nome… Quello che è importante rilevare è che nel Paese – nel Congo orientale e in particolare nel Kivu – esistono beni molto ambiti, molto appetiti dall’economia internazionale, sia quella ufficiale sia quella sommersa, che potranno comunque servire da base per una nuova e eventuale organizzazione di disturbo anti-congolese nel futuro, anche una volta sottomesso o eliminato l’M23. Radio Vaticana

 

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