Una petizione «L’Ue non dia soldi alla dittatura eritrea»

di Enrico Casale
eritrei a lampedusa

eritrei a lampedusaUna petizione per fermare i finanziamenti all’Eritrea. L’hanno lanciata abba Mussie Zerai, sacerdote eritreo, Presidente dell’Agenzia Habeshia e candidato al Premio Nobel per la Pace; Vittorio Longhi, giornalista; e Anton Giulio Lana, avvocato, membro dell’associazione «Legalità e Giustizia». I finanziamenti, che ammontano a 312 euro, sono quelli promessi dalla Commissione europea. Un sostegno offerto al regime eritreo guidato da Isayas Afeworki senza chiedere alcuna contropartita in termini di rispetto dei diritti umani. Quei diritti umani che spesso vengono violati nel piccolo Paese del Corno d’Africa come ha testimoniato un recente documento dell’Onu e come hanno denunciato i vescovi cattolici in una lettera pastorale.

Nella petizione, lanciata attraverso la piattaforma Change.org, si chiede di condizionare gli aiuti a reali passi verso la democrazia e, in particolare: 1) Libertà per tutti quelli che sono detenuti in modo arbitrario, tra cui dissidenti e giornalisti; 2) Libertà di espressione e di associazione; 3) Elezioni libere e democratiche con un sistema multipartitico; 4) Fine del servizio militare obbligatorio e a tempo indeterminato; 5) Fine di ogni forma di lavoro forzato e di trattamenti abusivi, innanzitutto la tortura.

«Con gli aiuti – spiega Vittorio Longhi a “Famiglia Cristiana” – l’Ue spera di fermare i flussi di profughi. Ci sono due rischi: da un lato si induce l’idea che gli eritrei siano migranti economici, quando invece le Nazioni Unite dicono chiaramente che si tratta di rifugiati politici; dall’altro, si danno soldi direttamente al regime da cui queste persone scappano. Non ci sarà alcun controllo sul reale utilizzo, le organizzazioni internazionali (la stessa Commissione Onu) non possono entrare in Eritrea e le Ong sono state tutte allontanate dal paese nel 2006».

Vittorio Longhi è riuscito a visitare il Paese nel 2014, e racconta: «La repressione e il terrore sono silenziosi, nessuno ne parla nei caffè; non hai la percezione della brutalità del regime, ma piuttosto del controllo totale. Una volta che ascolti le persone, però, incontri un’intera generazione che si sente intrappolata, senza libertà e senza prospettive per il futuro».

Dall’Eritrea fuggono ogni mese circa tremila persone. Nei primi sei mesi 2015 ne sono arrivati in Italia 34mila e quella eritrea è diventata la prima nazionalità tra gli arrivati nel nostro Paese superando i siriani che si sono attestati sui 19mila.

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