Una bussola per l’Europa

di AFRICA
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europaLe riviste missionarie, aderenti alla Fesmi – la Federazione stampa missionaria italiana che raggruppa testate come la nostra rivista Africa, Nigrizia, Popoli, il Missionario, ecc. –, “scendono in campo” per dire la loro sulle prossime elezioni europee, del 22-25 maggio prossimi.

Mai come al voto di fine maggio arriveremo con le pile scariche. Con un’insofferenza crescente. Con grande scetticismo nei confronti dell’istituzione Europa, vista come un soggetto freddo, lontano e pieno di vincoli. Più fonte di problemi che risorsa. Un soggetto dominato dal pensiero unico della grande finanza e dei tecnocrati di Bruxelles, interessati molto ai bilanci bancari e per nulla a quelli familiari. Dal cuore dell’Europa è così discesa in questi anni una cattiva imitazione di democrazia, con i singoli parlamenti svuotati sempre più di poteri e senza un aumento contestuale di quelli dell’assemblea europea, unico organo elettivo.

Allarmante l’indagine demoscopica Eurobarometer, svolta semestralmente per conto dalla Commissione europea. Oggi la percentuale dei cittadini continentali che non ha fiducia nel parlamento europeo supera di 8 punti percentuali quella di chi invece vi ha fiducia. Solo qualche anno fa gli estimatori del parlamento erano oltre il 30% in più dei suoi detrattori. Ancora più accentuata è stata la perdita di fiducia nei confronti della Commissione, del Consiglio e soprattutto della Banca centrale europea.

Eppure a Bruxelles si decidono le sorti di mezzo miliardo di cittadini di 28 paesi. Un fazzoletto di terra diventato il secondo polo lobbistico al mondo, con oltre 15 mila lobbisti, 3 mila gruppi di interesse pronti a difendere soprattutto gli interessi della grande industria e della finanza. Non c’è che dire: quei palazzi influenzano le nostre scelte quotidiane.

Scegliere una lista e individuare un candidato, quindi, è cosa seria e va fatta al di là dei giochini politici tutti interni ai confini nazionali. Il voto di fine maggio è invece lo strumento – l’unico – in nostro possesso per indicare un nuovo percorso, per incamminarci su un’altra strada di Europa. Quella dell’eguaglianza, dei beni comuni, dell’accoglienza aperta ai diversi e ai distanti, della pace. I guardiani dell’ortodossia liberista vogliono un’Europa austera a taglia unica. Magari sempre più diseguale.

Come riviste missionarie indichiamo cinque grandi tematiche che gli eletti a Strasburgo e Bruxelles devono avere a cuore: gli Epa; la pace e il commercio delle armi; i migranti; la cooperazione internazionale e il volontariato; la libertà religiosa.

Con gli Accordi di partenariato economico (Epa), l’Ue chiede ai paesi Acp (Africa, Caribi, Pacifico) di eliminare le barriere protezionistiche in nome del libero scambio. In questo modo le nazioni africane saranno costrette a togliere sia i dazi sia le tariffe oltre ad aprire i loro mercati alla concorrenza. La conseguenza potrebbe essere drammatica: l’assistita agricoltura europea rischia di svendere i propri prodotti sui mercati dei paesi impoveriti. Sono accordi da rivedere.

Per uscire dalla crisi, Bruxelles vuole poi sostenere lo sviluppo delle capacità militari continentali, con l’obiettivo di fare dell’industria armiera (che nel solo 2012 ha avuto un volume di affari di 96 miliardi di euro) un volano economico. Una sudditanza ai grandi gruppi intollerabile per chi ricerca vie di dialogo e di disarmo a situazioni di tensione e ostilità. Il nuovo modello di difesa va indirizzato a costruire l’Europa come potenza di pace, a iniziare dalla costituzione di dei Corpi civili di pace europei come forza di intervento civile e pacifico, teso alla prevenzione e ricomposizione dei conflitti, da impiegare negli interventi civili di pace all’estero, in contesti di crisi. I casi della Siria e dell’Ucraina sono un monito per tutti.

Sui temi dell’immigrazione, è urgente una riforma del regolamento di Dublino, introdotto per chiarire le competenze dei singoli stati sulle domande di asilo politico. Approvato nel 2003, si è rivelato uno strumento inadeguato e in contrasto con il principio di protezione dei rifugiati. La sua applicazione – che impone i richiedenti al primo paese dell’Ue in cui hanno messo piede – ha comportato gravi implicazioni, con famiglie divise, detenzioni ingiustificate, persone lasciate in condizioni di indigenza, spesso incapaci di accedere alle procedure di asilo. Più in generale, l’Europa deve dimostrare che il tema dell’accoglienza è tra i suoi principi fondativi. Uno strumento per lenire quell’imbarazzante e ingannevole epidemia di nazionalismo straccione ed egoistico che ci invade. A ciò potrebbe portare un contributo pure l’adeguamento e l’omogeneizzazione delle varie legislazioni nazionali in tema di cooperazione. L’Europa, con i suoi paesi, resta il primo donatore per l’Africa. Ma spesso le azioni sono dispersive. Non legate da un progetto comune. Quindi, meno efficaci.

Sulla libertà religiosa. Parrebbe un diritto garantito e tutelato nel Vecchio Continente. Invece ha bisogno di un buon restauro perché la stessa Europa non è immune da casi di violazione della libertà di credo, di attacchi a membri delle minoranze religiose sulla base delle loro convinzioni, e da discriminazioni per motivi religiosi. La stessa attenzione che chiediamo alle istituzioni europee rispetto ai paesi non europei, la chiediamo anche nei confronti dei paesi membri dell’Ue.

Cogliere tra i candidati che manifesta spiccate sensibilità su questi temi, significa già imboccare la strada del cambiamento.

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