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unhcr

    FOCUSMIGRAZIONI e DIASPORE

    “Il Libro della vergogna” svela il calvario dei migranti ad Agadez

    di claudia 15 Settembre 2025
    Scritto da claudia

    di Andrea Spinelli Barrile

    Il “Libro della vergogna. Come l’UNHCR ha fallito nella protezione dei rifugiati in Libia, Tunisia e Niger“, presentato nei giorni scorsi a Ginevra, raccoglie le testimonianze dei migranti ad Agadez, denunciando abusi, carenze di cibo e maltrattamenti nel Centro Umanitario gestito dall’UNHCR. Le storie evidenziano il fallimento delle politiche di protezione internazionale e il ruolo dell’Italia e dell’Europa nella gestione dei flussi migratori.

    Fino alla fine degli anni Ottanta la città di Agadez, nel Sahara nigerino, era un fiorente centro commerciale. Erano gli anni di gloria della Parigi-Dakar, quando decine di migliaia di turisti si riversavano in questa città nel cuore del deserto per soddisfare la propria passione per l’avventura e i motori. Agadez era nota anche per il commercio di cammelli, argento e pellame e, tra il 1989 e il 1990, Bernardo Bertolucci la scelse per girare alcune scene del film Il té nel deserto.

    Oggi, Agadez ha mantenuto intatta la propria anima di città crocevia, ma ha mutato completamente il proprio volto e, dai fasti di 40 anni fa, si è passati alla disperazione dei migranti e all’oscurità dei traffici illeciti: da oltre un anno, i rifugiati del Centro Umanitario alle porte di Agadez protestano per denunciare le loro condizioni di vita e il loro status di “persone-merce”, chiedendo di essere trasferiti altrove. Un luogo, il centro di Agadez, dove la vita si chiamava sopravvivenza e che oggi si chiama resistenza: «Dopo il continuo peggioramento delle condizioni nel centro e le violazioni in corso da parte del personale dell’UNHCR e delle organizzazioni partner all’interno del campo, abbiamo deciso di organizzare un sit-in pacifico davanti all’ufficio dell’UNHCR per chiedere una vita dignitosa e un futuro per i nostri figli». A parlare è un gruppo di rifugiati in Niger l’8 settembre scorso: la loro storia è contenuta nel Libro della vergogna. Come l’UNHCR ha fallito nella protezione dei rifugiati in Libia, Tunisia e Niger, una raccolta di testimonianze presentata la scorsa settimana di fronte alla sede centrale dell’Alto commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) a Ginevra, in Svizzera e realizzato da tre collettivi, Refugees in Libya, Refugees in Niger e Refugees in Tunisia. Il libro è stato scritto e compilato grazie a un lavoro fatto dagli stessi rifugiati in questi tre Paesi africani e raccoglie testimonianze dirette da aprile 2024 a settembre 2025: i collettivi e i movimenti di rifugiati, nei tre Paesi africani esattamente come in Europa, sono trattati e additati come una minaccia all’ordine pubblico e, per questo, repressi nelle loro attività di advocacy, di protesta e di rivendicazione del proprio diritto alla protezione.

    “Accusiamo l’UNHCR di aver creato, insieme all’Unione Europea e all’Italia, un campo di confinamento nel deserto chiamandolo protezione” si legge nel testo, da dove emergono storie di abusi e violazioni costanti che le persone migranti sono costrette a subire: “Il cibo è stato tagliato” racconta Abdelmalik, “la fame imminente causa molte malattie e problemi”.

    Dal 22 settembre 2024 è in corso ad Agadez una protesta da parte delle persone migranti rinchiuse nel Centro umanitario, protesta che ha “bucato” poco lo schermo dei media europei ma che va avanti imperterrita. Le accuse sono gravi ed è il sistema di protezione e di assistenza stesso, messo in piedi dall’Unhcr e dai suoi partner europei, a essere additato come criminogeno.

    Agadez, crocevia dei migranti

    Il contesto

    Vale la pena ricordare come si è arrivati a questo punto. Il governo italiano ha sottoscritto, il 2 febbraio 2017 con il governo di Accordo nazionale libico, un Memorandum d’intesa per “contrastare l’immigrazione irregolare”, con supporto a Guardie costiere e autorità di frontiera libiche. Il giorno dopo l’Unione europea ne ha avallato la linea nella Dichiarazione di Malta: l’intesa è il perno della strategia dell’allora ministro Minniti per ridurre gli sbarchi dalla rotta del Mediterraneo centrale. A marzo di quell’anno, il ministro convocò a Roma leader locali del Fezzan (nella Libia meridionale) per un’intesa volta a “ri-controllare” i confini con il Niger, porta d’ingresso verso la Libia e, in parallelo, Roma annunciò fondi e cooperazione con Niamey per il controllo delle frontiere (la stampa italiana all’epoca parlò di 50 milioni di euro destinati al solo Niger nella primavera 2017). Il 26 settembre, l’Italia firmò a Roma un accordo di cooperazione in materia di difesa con il Niger (poi portato alle Camere nel 2019) preparando il terreno alla missione di addestramento, supporto e controllo frontiere Misin, avviata nel 2018 e nel novembre successivo l’Unhcr òlanci l’Emergency transit mechanism per evacuare persone vulnerabili dalle carceri libiche al Niger (prevalentemente proprio verso Agadez) per espletare le pratiche di identificazione e eventuale reinsediamento: è un tassello “umanitario” della stessa architettura di esternalizzazione dei controlli.

    Tra fine 2017 e 2018, l’Unhcr ha rafforzato la sua presenza ad Agadez con la costruzione del Centro Umanitario per ospitare richiedenti asilo e persone evacuate dalla Libia, finanziato in larga parte da fondi europei e di altri donatori e canalizzati attraverso il ministero dell’Interno italiano.

    Le violazioni e gli abusi citati nel Libro della vergogna avvengono tutte in questo contesto, dentro l’infrastruttura creata nel 2017: gli accordi di controllo flussi (Libia/Sahel), la cooperazione Italia–Niger e l’Emergency transit mechanism (Etm, il Meccanismo di transito di emergenza) che ha fatto di Agadez un punto di accumulo di persone migranti e di gestione del loro destino, con l’Italia che è ancora oggi un attore chiave sia politico sia finanziario e operativo entro programmi UE.

    Il Centro umanitario oggi

    Il Centro Umanitario di Agadez è gestito dalla Direzione generale per l’anagrafe, le migrazioni e i rifugiati del Niger, che opera sotto il ministero dell’Interno di Niamey, con supporto e assistenza per la protezione forniti dall’Unhcr e dalle sue Ong partner, nazionali e internazionali. Ospita circa 2.000 persone, principalmente in fuga dalla guerra civile in Sudan. Il Centro tuttavia non è un incidente amministrativo ma il risultato diretto delle politiche europee, del coordinamento italiano, dell’esecuzione nigerina e della gestione Unhcr: secondo le testimonianze contenute nel libro presentato a Ginevra, i migranti ospitati lamentano carenza di cibo e medicinali, torture psicologiche e fisiche, maltrattamenti e scarsa, se non nulla, assistenza. Le storie che emergono sono drammatiche, con risvolti di repressione grave per coloro i quali protestano, denunciano, pretendono rispetto dei loro diritti: vengono raccontati casi di migranti arrestati per aver protestato, donne morte di parto di fronte a medici volutamente inermi, fughe rocambolesche terminate nel nord della Libia con la deportazione, nuovamente, nel deserto di Agadez.

    L’acqua viene spesso tagliata, il cibo razionato, l’energia elettrica spesso manca per giorni. “C’è una chiara disparità tra noi e gli altri campi” racconta Farid: “Il nostro non riceve attenzione e questo sembra dipendere da dinamiche politiche globali che non conosciamo”. Oltre a tutto questo, l’assistenza ai richiedenti asilo da parte dell’Unhcr si rivela lenta e farraginosa, inconcludente, con persone migranti che in alcuni casi sono costrette da sette anni a vivere in una tenda nel cuore del Sahara, subire intimidazioni da parte degli interpreti, dover ricominciare tutto da capo per lo smarrimento dei loro fascicoli, subire bugie su promesse di reinsediamento mai mantenute.

    Dello stesso tenore sono le testimonianze raccolte in Libia e in Tunisia, dove in contesti diversi si denunciano le stesse violazioni, talvolta peggiori, talvolta identiche, sempre drammatiche. “Sono arrivato in Tunisia con mia moglie il 19 agosto 2023. Lei è registrata all’Unhcr, ma la protezione promessa non è mai arrivata. Abbiamo scritto molte volte e ci hanno risposto che “le attività sono sospese” e che per “limitate finanze” non possono aiutarci. A Sfax siamo stati arrestati sulla riva del Mediterraneo e trasportati con la forza nel deserto algerino insieme ad altri, tra cui donne e bambini, abbandonati senza cibo né acqua. A Tunisi, mia moglie è stata arrestata pur essendo incinta e mostrando la carta Unhcr: la polizia l’ha ignorata. A Sfax ci hanno bruciato le tende, vivevamo nella paura di rapimenti e violenze. Ogni giorno in Tunisia è una lotta per sopravvivere” racconta Sheku Kargbo. “Nel luglio 2019 ho tentato il mare” racconta El-Tayeb, da sei anni in Libia: “La cosiddetta Guardia costiera libica ci ha riportati indietro vicino al giacimento Al-Bouri e siamo finiti a Tajoura, poi bombardata. Nel maggio 2021 a Janzour, mentre andavo a registrarmi all’Unhcr, sono stato fermato e detenuto tre mesi: alcuni miei compagni sono stati uccisi durante tentativi di fuga, ho dovuto svolgere lavoro forzato. Nel 2022 ho provato e oggi vivo nascosto a Zuwara: anche con i documenti dell’Unhcr non c’è libertà di movimento né protezione”.

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