Quando Mussolini si proclamò Protettore dell’Islam

di claudia

Sembrerà assurdo, ma il regime fascista, noto per la brutale aggressione e repressione coloniale in Libia e nel Corno d’Africa, ostentò una retorica filo-araba e filo-islamica, specie in campo culturale, autoproclamandosi amico e difensore dei popoli maghrebini, in chiave di contrapposizione all’espansionismo britannico e francese

di Uoldelul Chelati Dirar

L’avvicinarsi del centenario della Marcia su Roma offre molti spunti per una riflessione sul fascismo e anche sull’attualità della sfida tra libertà e autoritarismo, tra democrazia e dittatura. Vi sono però aspetti che rimangono poco esplorati e colgo l’occasione per evidenziarne uno particolarmente curioso in quest’epoca di diffusa islamofobia.

La politica coloniale fascista, culminante nella costituzione dell’Impero dell’Africa Orientale, viene vista prevalentemente nella sua dimensione militare e di brutale violenza, in particolare per la repressione in Libia e l’invasione dell’Etiopia. Vi è tuttavia un altro aspetto. Va ricordato che l’espansione coloniale fu vista anche come chiave per un rilancio dell’Italia quale interlocutore privilegiato del mondo arabo. Questa politica di avvicinamento al mondo arabo si basava sulla convinzione che vi fosse una possibile convergenza di interessi tra Italia e mondo arabo-islamico, motivata dalle frustrazioni derivate dalla conferenza di pace di Versailles che aveva definito gli equilibri internazionali dopo la Prima guerra mondiale.

Una copia de “L’Avvenire Arabo

L’Italia recriminava le mancate concessioni territoriali nel Settentrione e negli ex possedimenti coloniali tedeschi in Africa. Il mondo arabo era invece in fibrillazione per la politica britannica nella regione e in particolare in Palestina, dove erano state promesse nuove entità statuali alle popolazioni arabe e simultaneamente alla diaspora ebraica. I passaggi principali della politica filo-islamica del fascismo furono la pubblicazione, nel 1932, di un periodico bilingue (arabo e italiano), L’Avvenire Arabo, diretto dall’illustre arabista Carlo Alfonso Nallino, inteso a promuovere l’immagine del fascismo nel mondo arabo e allo stesso tempo a migliorare la conoscenza del mondo arabo in Italia. Venne poi costituito, nel dicembre 1933, l’Istituto di Studi per il Medio e l’Estremo Oriente (Ismeo) con l’intento di promuovere i rapporti tra Italia e Asia; nella stessa settimana veniva ospitato a Roma il primo Convegno degli Studenti Asiatici, con seicento partecipanti, alla cui apertura intervenne Mussolini in persona con un discorso incentrato sulla funzione di cerniera di Roma imperiale tra Occidente e Oriente. Infine, nel 1934 iniziarono le trasmissioni in lingua araba di Radio Bari, prima emittente europea in questa lingua.

Dopo questi primi passi, l’episodio simbolicamente più significativo si ebbe il 18 marzo 1937, quando Mussolini entrò in Tripoli seguito da duemila cavalieri delle truppe coloniali libiche, e si presentò sguainando una spada, la cosiddetta “spada dell’islam”, e si autoproclamò Hāmī al-Islām (Protettore dell’Islam – v. foto). L’episodio, nonostante l’eccessiva teatralità, rappresentava il culmine di un processo di costruzione di relazioni con il mondo arabo che includeva rapporti stretti con importanti esponenti del nazionalismo anticoloniale arabo quali il libanese Shekib Arslan, Yahya Muhammad Hamid ed-Din, imam dello Yemen, e lo stesso mufti di Gerusalemme Mohammed Amin al-Husseini.

In un involontariamente ironico capovolgimento di ruoli, l’Italia di Mussolini intendeva così accreditarsi come interlocutore privilegiato dei settori del mondo arabo in fermento per via del dominio franco-britannico in Medio Oriente e fortemente preoccupati dalla prospettiva della creazione dello Stato d’Israele. A giustificazione della sua ambizione, Mussolini presentava il colonialismo italiano come radicalmente diverso, una sorta di colonialismo “dal volto umano”. L’ironia sta nel fatto che l’autoproclamazione di Mussolini avvenne sullo stesso suolo libico che così duramente aveva pagato l’oppressione coloniale italiana con più di 40.000 morti nei campi di concentramento allestiti dal maresciallo Rodolfo Graziani, lo stesso che poco dopo coordinerà la brutale repressione della resistenza etiopica.

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