Ogni sabato a Kumasi, in Ghana, si celebrano sontuosi e originali riti funebri

di AFRICA

Il popolo ashanti ha sviluppato una spiccata passione per il culto dei defunti e una fervida fantasia nell’organizzazione delle esequie. Per averne conferma, basta passeggiare per le vie di Kumasi nel giorno della settimana dedicato alla commemorazione dei cari estinti.

C’è qualcosa di morboso nella pulsione dei visitatori bianchi verso l’Africa. Pare che vogliano vedere solamente feste mascherate e cerimonie: matrimoni e funerali su tutti. Se poi a sposarsi o a morire è un re, allora val la pena organizzare i torpedoni e preparare le macchine fotografiche. D’altra parte, tutta la polvere d’oro che cadeva a terra durante le transazioni nel mercato di Kumasi, in Ghana, apparteneva al re degli Ashanti (il termine è coloniale, e andrebbe scritto Asante): quel che luccica non è per la gente comune. Fu per questo che una sera mi imbucai in una cerimonia funebre qualsiasi a Kumasi. Qualche bel costume, soprattutto di colore rosso sgargiante, un sacco di agitazione, canti e danze, ma niente di che.

All’ingresso del grande cortile della casa di famiglia, mi venne richiesto solamente di portare da bere. Non venne specificato il quantitativo, ma mi si chiarì che ero autorizzato a bere solo una quantità massima pari al mio input alcolico alla festa. L’eventuale surplus (lo sguardo che mi diedero i parenti del defunto pareva negare tale eventualità) sarebbe servito per i più poveri o per i bevitori di terzo livello. Nonostante lo status symbol di modernità, venni sconsigliato di portare Coca-Cola, una bevanda che non viene considerata consona ai funerali: nella morte, in attesa di probabili ibridazioni, per il momento il capitale globalizzato non può essere trasformato in valore culturale locale. Entrai con due casse di birra, suscitando giubilo.

Niente paura

A quanto pare, qui nessuno ha paura della morte, dato che si deve pur morire per divenire potenti antenati. Nessuno prova a spendere quattrini per aiutare un parente a sfuggire alla morte. Dato che tra gli Ashanti è l’abusua, la posizione sociale della famiglia materna, a determinare i rapporti formali con la comunità (a sberleffo delle miopie occidentali sulle questioni di genere in Africa), sono i membri femminili della famiglia ad accompagnare alla morte vecchi e malati gravi. Esse versano semplice acqua nelle loro bocche, come viatico. Il kra, lo spirito immortale, ha bisogno di bere per “scalare la montagna” che lo porterà tra gli antenati.

Badu, una donna che ha visto morire lo zio dopo breve malattia, dice: «Certo, sono triste. Ma così è la vita: era il suo tempo. Mi hanno detto che non aveva soldi per le medicine, ma, caro mio, se dovessimo combattere contro ogni causa di morte, da queste parti piangeremmo miseria tutto il tempo. Mettiamola così: anche se gli avessimo dato i soldi, sarebbe morto lo stesso, prima o poi».

Gli Ashanti credono nella predestinazione, regolata fin dalla nascita da Onyankopon, l’essere supremo, e quello è un meccanismo che non tollera interferenze. Badu e la famiglia, però, non hanno esitato a indebitarsi pesantemente per le spese di un funerale più che decente, ben al di là delle loro possibilità finanziarie. Questo dimostra che, per gli Ashanti, le relazioni tra i vivi non sono così strette come quelle tra i vivi e i morti. Sono i funerali a fornire alla comunità i dispendiosi mezzi per la coesione sociale dei vari lignaggi. Dicono: «Abusua do efunu», la famiglia ama i morti.

Esequie show

La sequenza delle pratiche mortuarie ashanti è, come sempre, complessa. All’annuncio della morte, gli adulti della comunità iniziano un digiuno di otto giorni per onorare in gruppo la sacralità del rituale. Il capolignaggio e gli adulti della famiglia cominciano a pianificare i preparativi e a raccogliere i soldi necessari. Vengono inviati messaggeri alle famiglie che sono lontane, affinché possano partecipare al funerale, anche economicamente. Le donne piangono il lutto per le strade, mentre gli uomini curano i dettagli. L’informazione è oggi diffusa anche attraverso comunicati radio o tramite i social network.

I membri del lato femminile del lignaggio hanno l’incarico di lavare il cadavere, con tre spugnature di acqua e sapone, come si farebbe con un neonato; l’equazione morte=rinascita si fa evidente. Il corpo è rivestito e posto su un giaciglio, in funzione di età, status, ricchezza e abitudini personali. Per esempio, un membro della famiglia reale è stato avvolto nel ricco tessuto kente e gli è stata messa una sigaretta in bocca; un’altra, in caso di bisogno e a dimostrare abbondanza, tra le dita.

A quel punto si mette una moneta sulla fronte del morto. I membri della comunità inscenano davanti al cadavere le loro attività quotidiane, per dimostrargli che la vita scorre e che continueranno a comportarsi bene anche senza di lui: certo che un aiutino…

Il numero 8

Nei funerali che non coinvolgono la numerosissima famiglia reale, accanto al cadavere vengono posti oggetti e tracciati simboli che erano importanti per il morto. Un tempo si trattava di semplici pentole per le donne e arco e frecce per gli uomini, ma oggi all’interno delle bare impera la plastica. Comunque sia, nessun estraneo può essere presente a questi rituali: la sepoltura è un fatto privato, il funerale no.

Occorre sottolineare che sepoltura e funerale non coincidono nel tempo. Il funerale, più che altro per ragioni economiche di raccolta fondi, può svolgersi giorni, mesi e anche anni dopo la sepoltura. Gli Ashanti tengono però a funerali ben fatti e pertanto scelgono occasioni di particolare rilevanza numerologica: l’ottavo, il quarantesimo e l’ottantesimo giorno della morte sono in ogni caso giorni di lutto e sarebbero perfetti per le cerimonie. Sono multipli significativi del numero 8, somma del 3 e del 5, il numero più fortunato e quello maggiormente disgraziato (dare deliberatamente cinque cose a un Ashanti indica l’intenzione di portargli iella): il funerale è il momento a somma zero tra due estremi dell’esistenza.

Omaggi agli antenati

Ovviamente la modernità incide sulla cultura. Così, se nella tradizione i funerali dovevano avvenire il lunedì o il mercoledì, oggi la scelta cade sul sabato inglese, giorno in cui chi lavora può essere più facilmente libero da impegni. La cultura ebraica dice: “Dio non paga il sabato”, ma a Kumasi il giorno di sabato è marcato dal colore rosso dei costumi da cerimonia funebre, con gente che va di qua o di là per partecipare a un bel funerale.

Tutti portano doni. Nell’adosoa, una processione imponente con danzatrici, i presenti sfilano recando pacchi di banconote, bottiglioni di liquori, tessuti pregiati, profumi, monili d’oro (una caratteristica ashanti), animali da macello, chi più ne ha più ne metta. Un modo per ingraziarsi gli antenati, secondo gli Ashanti, è fornire un funerale sfarzoso ai morti: il denaro speso verrà convertito in collegamento diretto con il mondo dello spirito (nananem).

In sostanza, le alte spese per i funerali sono considerate un investimento sicuro per garantirsi il futuro. Nana, un anziano, afferma: «Quando uno muore, non è proprio morto. Gli antenati ci forniscono protezione e sono felici davanti a un bel funerale. Sulla terra hanno magari vissuto tempi grami: la morte pone fine alle sofferenze. Noi dovremmo essere felici per i morti. Dovremmo aiutarli al meglio delle nostre forze, dato che sono dappertutto attorno a noi, noi che siamo i non morti. Be’, che c’è di meglio per farli contenti se non riconoscere la loro presenza tra noi e offrir loro una libagione di tanto in tanto?». Capìta l’antifona, gli consegnai le birre rimaste.

(Alberto Salza – foto di Anthony Pappone)

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